Essendo appena iniziato l’esame da parte delle Commissioni Giustizia e Affari Sociali, assieme ai congiunti di tre “suicidi illustri” (Mario Monicelli, Lucio Magri e Carlo Lizzani) ho mandato la lettera che segue al Presidente dell’Istat Giorgio Alleva.
Egregio Presidente,
domani inizierà alla Camera, presso le Commissioni Giustizia e Affari Sociali, l’esame delle varie proposte di legge in tema di scelte di fine vita presentate in questi ultimi anni, fra cui quella di iniziativa popolare depositata nel settembre del 2013 dalla Associazione Luca Coscioni, con 67mila firme di cittadini/elettori: una proposta che noi abbiamo pubblicamente sostenuto, anche in considerazione delle drammatiche scelte di fine vita di persone a noi care.
I presentatori di questa proposta di legge ritengono che l’impossibilità di ricorrere legalmente alla eutanasia abbia come conseguenza, in molti casi, la decisione di cercare nel suicidio una “uscita di sicurezza”.
Questa convinzione trova una base di comprovata autorevolezza nelle tabelle dell’Istat sui suicidi in Italia, che fino al 2009 fornivano, assieme ad altre voci (maschi e femmine, Nord e Sud, livello culturale, mezzi di esecuzione), anche quella relativa al movente. Dalla voce “movente” risultava – arrotondando le cifre – che su poco più di 3.000 suicidi l’anno, per oltre 1.000 il movente erano le “malattie” (fisiche o psichiche): più delle “morti bianche” dei lavoratori, che giustamente suscitano nel Paese dolore e riprovazione.
A partire dalle tabelle relative al 2010, l’Istat ha però deciso di eliminare la voce “movente”. In una nota dell’agosto 2012 (“I suicidi in Italia: tendenze e confronti, come usare le statistiche”) l’Istituto, partendo da “linee guida” dell’Oms, sottolinea la forza del fattore emulativo nel caso dei suicidi e raccomanda la massima cautela nella diffusione dei dati.
Ci chiediamo, se questa è la ratio della decisione, se non sarebbe stato opportuno eliminare semmai la voce “modalità di esecuzione”, che per la sua obiettiva brutalità può più facilmente provocare fenomeni emulativi rispetto alla voce “movente”.
È comunque un dato di fatto che i Deputati si troveranno ora privi della sola serie di dati che consentiva di ragionare non in astratto su una ipotesi che a noi, non “addetti ai lavori”, sembra comunque degna di valutazione: quella secondo cui circa un terzo dei suicidi potrebbe essere evitato se vi fosse, per i malati, l’alternativa della eutanasia o del suicidio assistito, che consentono una “morte degna” anziché quella “indegna” e atroce di chi è costretto a gettarsi nel vuoto o ad impiccarsi, per citare due delle “modalità di esecuzione” che sono in testa alla graduatoria dell’Istat.
Comunque la si pensi nel merito delle soluzioni legislative, ci sembra evidente l’importanza di disporre di dati obiettivi di valutazione, anche se in una minoranza di casi (ma non, ad esempio, in quelli riguardanti le persone a noi care) si può avere qualche incertezza nella valutazione della motivazione al suicidio.
Per queste ragioni, Le saremmo veramente grati se volesse consentire ai membri della Camera di conoscere, con le modalità e per il tramite che Ella riterrà opportuni, i dati degli ultimi anni sui moventi dei suicidi, che certamente i Suoi uffici hanno continuato a raccogliere.
Luciana Castellina, Chiara Rapaccini, Franceso Lizzani, Carlo Troilo
Il Presidente Alleva ha risposto con molto cortesia ed ha avviato delle ricerche per poter risolvere questo problema senza naturalmente venir meno alla esattezza scientifica dei dati.
Dopo la sua risposta, abbiamo chiesto ai presidenti delle due Commissioni Parlamentari di prevedere una audizione dell’Istat ed anche una dell’Istituto Mario Negri, che nel 2007, in una ricerca approfondita, rese noto che ogni anno 20mila malati terminali muoiono con l’aiuto dei medici.
In questo caso, io ritengo si possa parlare di “eutanasia clandestina”, mentre il presidente dell’Istituto, il professor Silvio Garattini, afferma che si tratta semplicemente di “desistenza terapeutica” (e mi accusa di “falsare” i dati).
Su questo tema un approfondimento parlamentare sarebbe certamente assai utile. Anche tenendo conto della recente affermazione del Cardinale Bagnasco, che in un’ampia intervista a “La Stampa” – pur ribadendo la totale contrarietà alla eutanasia e definendo “tristi” i paesi che l’hanno legalizzata – fa una esplicita ammissione: “Quando medicine e farmaci sono ormai rigettati dal corpo – dice Bagnasco – si sospendono le cure che risulterebbero un accanimento. La Chiesa è favorevole a sospendere queste cure e a dare dei palliativi che in qualche modo potrebbero anche accelerare l’inevitabile fine, con l’intento di lenire il dolore. Ma in questo caso l’obiettivo è lenire il dolore, non dare la morte, come invece purtroppo avviene nei casi in cui si somministrano farmaci per interrompere la vita”.