Il ministero guidato da Poletti varerà un decreto per imporre all'azienda di comunicare nome del lavoratore, data, luogo e orario della prestazione. Guglielmo Loy (Uil): "Non basta. Bisogna escludere interi settori come l'edilizia e fissare un tetto di ore oltre il quale i buoni non si possono usare". Sorrentino (Cgil): "Previdenza e assicurazioni restano insufficienti"
Il minimo sindacale. Questo è il primo commento dei sindacati sugli interventi correttivi sui voucher annunciati dal governo. Il ministero del Lavoro, infatti, ha deciso di correre ai ripari dopo l’esplosione dei buoni lavoro: nei prossimi giorni, un decreto imporrà all’azienda di comunicare nome del lavoratore, data, luogo e orario della prestazione, in modo da evitare abusi. Ma le sigle sindacali, pur approvando il sistema di tracciabilità, spiegano che non basta: è lo strumento stesso a essere “sbagliato alla sua origine” e le modifiche lasceranno milioni di lavoratori in un’area grigia fatta di precariato e povertà. E lo stesso ministero, nel suo ultimo report, spiega che “un’analisi Inps riferita al 2014 ha evidenziato come su circa un milione di percettori, 400mila erano privi di altra posizione”. Insomma, il 40% delle persone retribuite a voucher non hanno altri redditi. Tra le proposte in campo, allora, c’è quella di escludere interi settori dall’uso dei voucher e imporre un tetto al loro impiego in azienda.
Ad accendere il dibattito è stato l’annuncio pubblicato dal ministero del Lavoro. Il dicastero di Giuliano Poletti ha spiegato che, in seguito al nuovo decreto, le imprese che utilizzeranno voucher “dovranno comunicare preventivamente, in modalità telematica, il nominativo e il codice fiscale del lavoratore per il quale verranno utilizzati, insieme con l’indicazione precisa della data e del luogo in cui svolgerà la prestazione lavorativa e della sua durata”. La nota del ministero aggiunge che la norma “punta ad impedire possibili comportamenti illegali ed elusivi da parte di aziende che – al pari di un cittadino che utilizza il biglietto dell’autobus solo se sale a bordo il controllore – acquistano il voucher, comunicano l’intenzione di utilizzarlo ma poi lo usano solo in caso di controllo da parte di un ispettore del lavoro”. Si tratta di un intervento correttivo rispetto al Jobs act, che invece ha incentivato il ricorso ai buoni lavoro: il limite di reddito percepibile da un lavoratore attraverso i voucher è passato da 5mila a 7mila euro annui.
Ora, i sindacati considerano l’idea della tracciabilità dei buoni lavoro un fatto in sé positivo, ma non per questo sufficiente a sanare gli abusi. “Così come è, l’istituto del voucher è sbagliato e va ricondotto alla sua origine – afferma Serena Sorrentino, segretaria confederale Cgil – Qualsiasi lavoro viene considerato uguale, non hai nessun diritto e la quota di 2,50 euro sui 10 euro nominali del buono divisi tra previdenza e assicurazione sono veramente insufficienti a garantire minime coperture”. La dirigente sindacale ricorda gli abusi più diffusi, cioè l’utilizzo del lavoratore per più ore o più giornate rispetto a quelle dichiarate o il pagamento in parte con voucher e in parte in nero. E conclude: “La tracciabilità così come è annunciata non serve a contrastare questi illeciti, rimarranno milioni di lavoratori in un’area grigia senza diritti, nuovi poveri e sempre più precari”.
Non si discosta di molto la posizione di Guglielmo Loy, segretario confederale Uil. “La tracciabilità dei voucher è il minimo sindacale – sostiene – Ma il decreto non interverrà su altri temi importanti”. Quali? “Si dovrebbe tornare all’origine dello strumento, occasionale e accessorio. Per questo, bisognerebbe prevedere l’esclusione di interi settori dall’uso dei voucher. Per esempio, il boom nel comparto del commercio, del turismo e dei servizi sta erodendo terreno al lavoro strutturato”. Sulla stessa linea Gigi Petteni, segretario confederale Cisl: “La tracciabilità è un tema da affrontare, ma non l’unico. In alcuni settori i voucher dovrebbero essere eliminati. Nell’edilizia, per esempio, abbiamo registrato le maggiori speculazioni”. Ma Loy si spinge oltre: “Il lavoro pagato a voucher deve essere residuale. Per questo, si potrebbe pensare a un tetto di ore che ogni azienda non può superare nella retribuzione con buoni lavoro”. Non a caso, nell’ultimo report del ministero, si segnala come nel 2015 quindici imprese abbiano comprato voucher per un valore superiore al milione di euro, 495 sopra i 100mila euro, 18.240 sopra i 10mila euro.
Una stretta sui buoni lavoro era attesa dopo i dati che attestavano il loro clamoroso boom. I percettori di voucher sono passati dai 24mila del 2008 agli 1,4 milioni del 2015. Nell’anno appena concluso sono stati venduti 115 milioni di tagliandi, in aumento del 66% rispetto al 2014. Anche Tito Boeri, presidente Inps, aveva definito i voucher “la nuova frontiera del precariato”.