Bimbi a Idomeni

Io comincerei dalla foto qui sopra: quella di un bambino, con il braccio fasciato, che alza un foglio con la scritta “Sorry for Bruxelles”. La foto è stata scattata a Idomeni, una località che fino a poco tempo fa la maggior parte di noi non conosceva e che, ora, è su ogni giornale. Idomeni è il luogo dove la nostra morale, la nostra etica e i buoni propositi si mischiano a un mare di fango e terra in cui migliaia di profughi, fra cui questo bambino, hanno piantato le loro tende. Gli eventi di Bruxelles sono strettamente collegati (simbolicamente) a questo bambino e alla fiumana di gente che si è ammassata in quei posti. Infatti, oggi c’è chi si concentra nel domandarsi dove sarà il prossimo attentato ma io credo che bisogna cominciare ad analizzare i motivi che spingono alcuni ragazzi nati e cresciuti in Europa, che hanno avuto problemi di droga o che erano brillanti studenti, a trasformarsi in fondamentalisti, bestie, rinnegando quello che sono stati e abbracciando un’ideologia della morte. Solo in questo modo si sconfigge il fondamentalismo: conoscendo il nemico.

La nostra battaglia, quella della nostra società, musulmana e cristiana, è di opporre una resistenza culturale che sappia rintracciare le radici di un malessere che crea il terreno fertile per il proselitismo fondamentalista. Questo malessere ha un punto d’inizio nella relazione che l’identità costruisce con la società circostante. Erano tutti nati in Belgio i terroristi e la loro radicalizzazione è avvenuta in seno a quell’entità che chiamiamo Occidente.

Un giovane nato e cresciuto in Europa, con origini in un paese arabo, sarà molto più coinvolto nei mutamenti che avverranno nel paese d’origine dei suoi genitori, rispetto a un suo coetaneo che ha origini, per esempio, solo belghe. Il malessere cresce a causa dei rapporti burrascosi dei due mondi ai quali appartiene e quindi di una politica estera sbagliata che ha agevolato dittature e bombardato paesi. E’ un sentimento di ingiustizia, di impossibilità di cambiare le cose, che si fa largo in alcuni di questi giovani che sono attesi al varco dal fondamentalismo. Oltre a questo, c’è la questione mediatica che è diventata la benzina che alimenta il terreno oscuro dove si pescano adepti.

Si continua a dire, qui in Europa, banalizzando e generalizzando producendo un danno più grave, che l’Islam è la causa di tutti i mali; l’Islam è il problema da risolvere e dicendo questo si vanno a minare i pilastri fondamentali dell’identità di una parte, pur piccola, della nostra società europea. Fra di loro, proprio alcuni giovani risponderanno a questo mantra isolandosi ancora di più e diventando sempre più convinti che c’è una società che discrimina alcuni in base alla fede professata. Anche su questo punto arriva chi promette a questi giovani che la soluzione è rispondere con “più Islam, il loro Islam”.

I paesi arabi, anche quelli d’origine di questi giovani, vengono visti come nazioni corrotte, al soldo di questa o quella potenza occidentale. L’Islam che fiorisce in medioriente è descritto come una religione di Stato e l’Islam locale, quello cresciuto in quelle società e che offre gli antidoti al fondamentalismo, viene messo nell’angolo. Insieme a questi fattori si aggiungono l’esclusione sociale, la costituzione di ghetti nelle città che creano zone franche; la mancanza di una resistenza culturale che sappia rispondere al fondamentalismo e ai paladini delle nuove crociate. Inoltre, l’Isis trae forza dalle immagini come quelle di Idomeni, in cui l’Europa costruisce barriere nonostante una retorica di accoglienza. Poi, ci sono la Siria e l’Iraq in cui tanti stati compiono raid contro lo stato islamico ma ci sono più civili morti che risultati ed è da quelle immagini, quelle dei bombardamenti aerei russi, americani, francesi e del regime siriano che il califfato trova le migliori argomentazioni di propaganda per legittimarsi: “vedete – dicono –, bombardano donne e bambini a fianco di dittatori”. E la marea umana che scappa dalla guerra, dalle stragi di regimi nazionalisti, potenze mondiali e dal fondamentalismo diventa lo strumento concreto con il quale dimostrare quanto detto.

La risposta che dobbiamo dare al fondamentalismo comincia comprendendo che il radicalismo di questi anni è nato in Europa e sono figli dell’Europa quelli che oggi combattono in nome di una ideologia perversa e criminale. Sconfiggeremo il terrorismo quando sapremo prosciugare la sua forza di attrazione, non solo fermando i suoi finanziatori, e per fare ciò bisogna cominciare una battaglia culturale: quella di un dialogo con l’Islam e del riconoscimento della sua complessità e ricchezza, isolando chi, da una parte e dall’altra, è diventato un imprenditore della paura.

In politica estera, c’è bisogno di costruire una alleanza con le società civili del mondo arabo-islamico e creare una politica estera basata sui diritti umani: fino a che ci alleeremo con regimi o monarchie dittatoriali per il nostro benessere, causeremo il malessere di quelle popolazioni e da questo malessere nascerà l’integralismo.

E’ necessaria più inclusione, attraverso dei processi che avvicinino le varie comunità e non le ghettizzino, isolandole.

Dobbiamo cominciare a discutere sulla nostra identità, come essa è mutata. Infine, dobbiamo costituire una cittadinanza attiva europea che sappia risolvere i conflitti all’interno delle nostre società. Dobbiamo osservare il mondo intorno a noi e farci, noi persone comuni, davvero promotori della pace. Per cinque anni abbiamo osservato la Siria sgretolarsi, credendo che la guerra in quel paese non ci avrebbe toccato e, invece, oggi milioni di siriani bussano alle nostre porte e il fondamentalismo che si è nutrito dal vuoto creato dalla repressione feroce del regime siriano è arrivato nelle nostre città.

Il fondamentalismo non è un fenomeno naturale, che nasce dall’interpretazione di un libro, ma esistono cause che lo hanno creato e che lo alimentano. Conoscendo queste motivazione e costruendo soluzioni di buon senso si può vincere questa battaglia, altrimenti si continueremo a pagare, tutti.

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