La commissione d'accesso in Comune, gli interrogatori dell'ex sottosegretario Principe, la "forte e inaspettata affluenza alle consultazioni tra gli iscritti nel 2102". Ma dai dem nessuna reazione fino agli arresti di quattro esponenti del centrosinistra. E il segretario Magorno, che invocò la Commissione antimafia per il caso Quarto, ora mette in guardia dal "venticello dell'antipolitica"
Adesso il Pd è sbigottito. Ma in Calabria, all’interno del Partito democratico e delle istituzioni, nessuno può definirsi sorpreso delle indagini della Dda di Catanzaro che ieri mattina ha arrestato l’ex consigliere regionale Sandro Principe, uomo forte del Pd in provincia di Cosenza e, in passato, sindaco di Rende e sottosegretario dei governi Amato e Ciampi.
Indiscrezioni sull’inchiesta che ha scardinato il “sistema Rende”, infatti, erano state pubblicate sui giornali all’indomani dell’inchiesta “Terminator” (che aveva portato all’arresto di un altro sindaco della cittadina calabrese) e lo stesso Sandro Principe era stato interrogato più di un anno fa dalla Procura che lo stava indagando per concorso esterno in associazione mafiosa, voto di scambio e corruzione elettorale. Nonostante l’inchiesta, nessuno dei vertici del partito ha pensato di sospendere Principe, neanche dopo la commissione d’accesso al Comune di Rende che, pur non portando allo scioglimento dell’ente, doveva quantomeno rappresentare un campanello d’allarme su come funzionavano le cose.
E invece nulla. La politica aspetta la magistratura e la sospensione di Principe è arrivata solo dopo le manette. “Ma pensa a fare il sindaco che stai facendo il Procuratore della Repubblica!”, è la frase pronunciata dello stesso Principe per rimettere in riga Vittorio Cavalcanti – secondo quanto ha messo a verbale quest’ultimo – “colpevole” di voler fare il sindaco di Rende (dopo essere stato eletto) e di non sottostare al “sistema” imposto dal “rais”. Una frase che sintetizza perfettamente l’atteggiamento del Pd davanti ai rapporti tra ‘ndrangheta e politica.
Oggi, per bocca del segretario regionale Ernesto Magorno e nel silenzio totale dei vertici nazionali del partito, il Pd si dice sbigottito dalla notizia delle “vicende giudiziarie”. E il plauso “d’ordinanza” alle forze dell’ordine lascia spazio alla speranza “che gli esponenti del nostro partito coinvolti – scrive Magorno – riusciranno a chiarire la loro posizione”.
Magorno va anche oltre e invita i “suoi” a rimanere uniti “respingendo, con l’autenticità dei valori e dell’amore per la nostra terra, ogni tentativo di cavalcare il vento dell’antipolitica per vanificare i tanti sforzi di cambiamento, legalità e trasparenza che stiamo attuando con grande impegno”.
Illuminante come il garantismo piddino in salsa calabrese sia un fenomeno che funziona “a intermittenza”. È sufficiente leggere le dichiarazioni che lo stesso Magorno dettò alle agenzie di stampa appena due mesi fa, a gennaio, quando intervenne sul caso Quarto definendo “inquietante” il ragionamento del blog di Grillo che “finge di non accorgersi di quanto emerso dalle indagini, secondo cui alcuni personaggi ritenuti vicini alla camorra avrebbero dato indicazioni di voto in massa per i 5 stelle. Il partito deve chiarire in sede parlamentare”.
Quarto sì e Rende no. I pentastellati devono presentarsi davanti alla Commissione parlamentare antimafia mentre il segretario calabrese del Pd (componente dell’Antimafia), davanti a un’inchiesta che sta asfaltando un pezzo importante del suo partito si preoccupa del “vento dell’antipolitica”.
Gli fa eco il segretario provinciale del Pd di Cosenza, Luigi Guglielmelli, che affida a Facebook le sue considerazioni: “Deve essere consentito a tutti di svolgere le proprie attività difensive nel pieno rispetto del principio di non colpevolezza fino a sentenza definitiva di condanna. Il Pd è una casa di vetro, abbiamo sempre prestato molta attenzione alle notizie relative all’onorabilità dei nostri iscritti e dei nostri candidati”.
Iscritti e candidati che se incappano in vicende giudiziarie, però, lo fanno per conto proprio e non del partito: “Chi sbaglia tradendo la fiducia di migliaia di democratici e democratiche pagherà tre volte: giudiziariamente, moralmente e politicamente. Noi siamo questi”. “Bravo segretario, siamo tutti con te. – scrive la deputata Enza Bruno Bossio, componente della commissione antimafia. – Perché siamo tutti il Pd casa di vetro”.
Eppure il vetro a volte si rompe. E, stando all’inchiesta sul sistema Rende, al Pd non resta che raccogliere i cocci e accorgersi che l’indagine del sostituto procuratore della Dda Pierpaolo Bruni non tocca solo il “rais” Sandro Principe ma anche il mondo politico che fa capo al governatore Mario Oliverio e quel coacervo di interessi che, partendo dalla provincia di Cosenza, sta infettando il resto della Regione.
Perché se da una parte è vero che Sandro Principe ha candidato alle provinciali di Cosenza del 2009 Umberto Bernaudo e Pietro Ruffolo (entrambi arrestati ieri dai carabinieri per concorso esterno in associazione mafiosa, ndr), dall’altra parte è altrettanto vero che quei voti sono andati alla coalizione all’epoca guidata dall’ex presidente della Provincia Mario Oliverio.
Ed è stato poi lo stesso Oliverio a nominare Pietro Ruffolo assessore della sua giunta. Ma non è tutto: alle regionali del 2014 l’ex consigliere regionale di centrodestra Rosario Mirabelli lascia Ncd e si è candidato con il centrosinistra nella lista “Oliverio Presidente” rastrellando quasi 5mila voti che hanno contribuito alla vittoria dell’attuale presidente della Regione.
Mirabelli non riuscì comunque a farsi eleggere come aveva fatto nel 2010 quando si presentò con il centrodestra a sostegno dell’ex governatore Giuseppe Scopelliti. Allora, stando a quanto scrivono i carabinieri, il suo “grande elettore” sarebbe stato il boss Michele Di Puppo, esponente di primo piano della cosca Lanzino-Rua che, tramite Marco Paolo Lento (arrestato con lo stesso Di Puppo), garantì la vittoria di Mirabelli, candidato nella lista “Autonomia e diritti”. Il boss Di Puppo, però, in quella tornata elettorale riuscì a fare eleggere non solo un consigliere di maggioranza ma anche uno di opposizione: Carlo Guccione, nella lista del Pd. “Quanti sono usciti qua?”. “Ah….e va bene! – così i carabinieri sentono il capocosca esultare per il risultato elettorale – L’importante è che ce l’ha fatta lui! Almeno, vaffanculo, pure che non è di maggioranza, è la stessa…almeno, è un consigliere regionale!”.
E sempre parlando di Carlo Guccione, che non è indagato e nei confronti del quale – scrivono i carabinieri – “la promessa di una qualunque utilità in cambio dei voti ottenuti non emerge chiaramente”, il boss aggiunge: “Basta che non lo sentiamo parlare più… Tu diglielo quando lo senti: ‘Chiuditi la bocca’, ha detto Michele, ‘e non parlare più!’”.
Ritornando a Magorno, inoltre, dall’inchiesta della Dda emerge il tentativo degli indagati di condizionare le primarie del 2012 quando – scrivono gli inquirenti – “era emersa la volontà degli intercettati di commettere dei ‘brogli elettorali’ finalizzati a far eleggere il candidato “portato” dal Principe e sconfiggere l’avversario Mario Maiolo, fortemente voluto dall’onorevole Enrico Letta”.
Anche in questa occasione il “principale” (così veniva chiamato Principe) riuscì a fare eleggere il suo uomo: “il sindaco di Diamante Ernesto Magorno, poi effettivamente candidato a livello nazionale e successivamente eletto Deputato della Repubblica”, scrivono i carabinieri. Non sono andate meglio le primarie del 2007 che dovevano rappresentare “l’atto di nascita del più importante partito politico del centrosinistra italiano”.
A quelle primarie del Pd, in Calabria si registrò “una forte e inaspettata affluenza”: “Nell’hinterland cosentino, l’importanza di tali votazioni risuonava anche nelle casse della criminalità organizzata, i cui maggiori esponenti si mostravano fortemente interessati all’esito delle stesse”. La notte dello spoglio i carabinieri avevano decine di telefoni sotto controllo. ‘Ndranghetisti e politici erano intercettati. Dopo aver saputo che Principe è stato eletto all’assemblea costituente del Pd, la mattina successiva è il boss Francesco Patitucci a informarsi sull’esito delle primarie: “La Covello è andata bene?”. “Sì, sono entrati tutti e due, hanno votato sia Sandro che la Covello…”. “Ah buono, buono …”.
Figlia dell’ex senatore Dc Franco Covello, si tratta di Stefania (non indagata) oggi deputato del Partito democratico e membro della commissione parlamentare Ambiente, territorio e lavori pubblici.