Secondo il Global Terrorism Index, negli ultimi quattro anni circa un quarto dei foreign fighter si sono uniti all'Isis arrivando dall'Europa attraverso il Paese. Dalla Russia l'accusa di complicità dei servizi segreti di Istanbul. E le biografie dei protagonisti degli attacchi in Europa, da Charlie Hebdo alle stragi dei giorni scorsi, offrono conferme
Confini porosi e facilmente valicabili: non sembrano esserci segreti per terroristi e militanti che dall’Europa decidono di viaggiare verso Siria e Iraq per unirsi all’Isis, o che, viceversa, scelgono di entrare nel vecchio continente. La via più semplice è quella che passa per la Turchia. Il Global Terrorism Index ha calcolato che, dal 2011, sono stati più di 30mila i militanti che, da più di 100 paesi, hanno seguito la filiera del terrore. Metà di loro arrivano dai paesi del Medio Oriente e del nord-Africa, un quarto dall’Europa e dalla Turchia. E’ proprio di queste ore la notizia, data in anticipazione dal settimanale tedesco Spiegel, dell’arresto di Samir E., salafita legato agli ambienti degli attentatori di Bruxelles, il quale, per la procura di Dusseldorf, sarebbe stato arrestato nell’estate 2015 dalla polizia turca al confine con la Siria e poi espulso in Olanda. Proprio come l’attentatore suicida della metropolitana di Bruxelles, Khalid El Bakraoui. Gli inquirenti tedeschi stanno indagando anche per scoprire se i due si conoscessero, e se fossero insieme in Turchia.
Ankara, ha dichiarato nelle ultime ore il presidente turco Erdoğan, aveva avvisato il Belgio della pericolosità di El Bakraoui: il terrorista suicida degli attacchi del 22 marzo era stato detenuto nel carcere di Gaziantep, e poi rimandato in Europa. Eppure le autorità europee non avrebbero fatto nulla per fermarlo, tanto che i due fratelli avrebbero anche trovato lavoro come addetti alle pulizie nell’aeroporto di Bruxelles preso di mira martedì scorso.
La Turchia prova così a rimandare al mittente un’accusa mossale da tempo anche da parte della Russia: era stato l’ambasciatore russo Vitaly Churkin, in una sua lettera dello scorso 10 febbraio, a dichiarare che la città di Adalia è una delle roccaforti dove Isiss assolda terroristi e foreign fighter, provenienti anche da Stati dell’ex Unione Sovietica. Un network, quello con base nella cittadina del sud-ovest della Turchia, che sarebbe tenuto in piedi dal russo Ruslan Rastyamovich Khaibullov, con residenza permanente e famiglia proprio ad Adalia. Per Mosca, il reclutamento di militanti parte all’interno delle madrase, in diverse città turche: e sarebbe l’intelligence turca a far trasferire i militanti dell’Isis dalla Siria attraverso verso lo Yemen, usando aerei militari turchi, o passando via mare fino al porto di Aden.
Tra rimpalli diplomatici e servizi di intelligence, già a febbraio dello scorso anno il ministro degli interni turco aveva redatto una lista composta da 10mila persone sospettate di avere legami con gruppi terroristici, e a cui dunque è stato impedito l’ingesso nel paese della mezzaluna. Ma guardando alla filiera del terrore, la Turchia centrerebbe eccome nel traffico di militanti: Isis arruolerebbe i suoi seguaci anche online e li assisterebbe durante tutto il viaggio verso la Siria. Attraversare i confini illegalmente costerebbe almeno 25 dollari, e il viaggio è tutto organizzato dal Califfato. Ma il primo passaggio fondamentale sarebbe proprio riuscire a entrare in Turchia senza essere controllati.
Così l’organizzazione si avvale di vecchie rotte, già battute da commercianti, migranti o turisti. Arrivarvi dall’Europa è semplice quanto prenotare un biglietto aereo: tutti elementi rivelati direttamente dal Trac (Terrorism Research & Analysis Consortium), uno dei più grandi database sul terrorismo internazionale. Nell’ultima settimana, più di 30 persone, riconducibili a Isis, sono state fermate a Cipro, poco prima che prendessero un volo per l’Europa centrale. Già a novembre scorso, un flusso di 4000 persone, camuffate sotto le innocenti identità di rifugiati e armati dall’Isis, sarebbe stato pronto a varcare i confini tra Siria e Turchia, per poi sbarcare sulle coste europee.
Un esempio tra tutti è quello di Ahmed Almuhamed, il terrorista 25enne dello Stade de France, fintosi rifugiato siriano, e arrivato in Europa insieme a un altro degli attentatori di Parigi, passando dall’isola di Leros, lo scorso 3 ottobre. Il viaggio di Hayat Boumeddiene, fuggita dalla Francia proprio in Turchia, è altrettanto eclatante. Boumeddien è la moglie di Amédy Coulibaly, il terrorista francese vicino a Said e Chérif Kouachi, autori dell’attentato nella sede di Charlie Hebdo, e responsabile della morte di quattro persone nel supermercato kosher di Parigi, a gennaio 2015. Nei giorni precedenti all’attacco, Coulibaly avrebbe condotto Boumeddiene fino a Madrid, dove, dopo aver incontrato amici di famiglia, avrebbe volato fino in Turchia, prima di attraversare i confini con la Siria. Così come salta agli occhi, nei database dei servizi di intelligence, il nome di Abdelhamid Abaaoud, mente degli attentati di Parigi del 13 novembre scorso: il 27enne si è spesso vantato di fare avanti e indietro tra Siria e Belgio, burlandosi dei “kuffar (infedeli, ndr) resi ciechi da Allah” che non sono mai riusciti a identificarlo e fermarlo.
Un’altra delle rotte più battute da foreign fighter e terroristi, che partono da nord e da est Europa, passa per le strade dei Balcani, fino ai confini bulgari, per poi entrare nel nord della Turchia. E ancora: in nord Africa, è la Libia la zona franca per i militanti. Si parte dal porto di Derna, per poi dirigersi sempre verso la Turchia. In Libia si può arrivare anche attraverso i confini porosi con la Tunisia, dove esistono campi di arruolamento jihadisti. Il Trac ha calcolato che alla fine di ottobre già circa 3mila tunisini avevano viaggiato verso l’Iraq e la Siria e si erano uniti a Isis. Tutte rotte, soprattutto per quanto riguarda i collegamenti via mare, che la Nato ha da tempo cominciato a sorvegliare, attraverso il programma Active Endevour: sono stati 95500 i mercantili controllati, e 148 le ispezioni effettuate a bordo, proprio per prevenire che cellule terroristiche solcassero il Mediterraneo, con navi in partenza anche da Ciprio e dal Libano.
In Italia la situazione non sarebbe delle migliori: è recente la cattura di Karlito Brigande, di nazionalità macedone, arrestato a Roma lo scorso 12 marzo e divenuto un jihadista dai mille alias, anello tra la criminalità organizzata e Daesh. Il suggerimento per lui era chiaro: per riuscire a riunirsi con il “fratello”, il tunisino Firas Bahroumi, in Iraq, sarebbe bastato trovare il modo di arrivare in Turchia. E non rassicura quanto riportato nell’ultima relazione del procuratore nazionale antimafia, Franco Roberti, è anche nelle carceri italiane che l’ISIS fa proselitismo. Rotte e porti a parte, sono 19 le persone di fede islamica radicalizzate e detenute dietro le sbarre del nostro paese, con il rischio, si legge nella relazione, che facciano propaganda tra gli altri detenuti “attenzionati” e più esposti a messaggi di propaganda terroristica.