Di droghe si è detto di tutto, forse troppo (un po’ come di intelligence anticaliffato, che ormai son tutti ex operativi del Mossad, stando a quanto si legge nei commenti sui social), e in particolare si è fatto una gran sproloquiare a proposito della famosa, quasi famigerata, “modica quantità”. Ora, tale modica quantità, entro la quale non ti ingabbiano e non sei punibile, è incerta come la buona sorte e instabile come la nitroglicerina tant’è che ogni sbirro e ogni tribunale gareggiano nel tentare di afferrarla.

Un durissimo colpo a questo ormai quarantennale stato di cose (articolo 80 della legge 685 del 1975) è stato inflitto da una sentenza emessa dal tribunale di Firenze che ha deciso di considerare “personale uso” il possesso di circa 600 grammi di polvere contenente cocaina pura per circa 471 grammi, corrispondenti a circa 3.100 dosi medie giornaliere per un valore pari a circa 30mila euro.

Cocaina

Abbiamo elencato subito le cifre perché torneranno utili più in là. Adesso, dovete sforzarvi di non correre alle conclusioni e bollare la sentenza secondo un metro approssimativo. Perché in effetti la sentenza non è affatto assurda. Semmai, riapre un capitolo mai davvero chiuso. Il tribunale, prima di pronunciare il suo verdetto, ha ascoltato lo psichiatra dell’imputato e il suo commercialista. Il primo ha spiegato che l’uomo era probabilmente preoccupato di restare senza rifornimento. Il secondo ha dettagliato la sua disponibilità finanziaria che, soldo più soldo meno, ammonterebbe al momento a circa 400mila euro più la casa dei genitori dove ancora vive. Una famiglia facoltosa, una persona benestante in grado di comprarsi in una sola botta più di mezzo chilo di cocaina senza avere bisogno di spacciarla a sua volta per pagare il pusher.

Da un punto di vista logico formale, direbbe Wittgenstein, il ragionamento non fa una grinza. E ci si può anche stare: la droga non sarebbe stata rivenduta, quindi non si tratta di spaccio, né piccolo né grande. Si tratta solo di consumo personale. Il problema però è che la sentenza mette in crisi molti ragionamenti, persino i migliori, sulla discrezionalità da affidare al giudice nel momento in cui si tratta di stabilire il valore di questa maledetta “modica quantità”, diventata restrittivamente “limite quantitativo massimo” con la legge del 2006 fortemente voluta da Gianfranco Fini, discrezionalità spesso indicata come alternativa alla “soglia” che troppi errori avrebbe provocato (si veda questo ottimo rapporto firmato da Grazia Zuffa, grande osservatrice del mondo delle tossicodipendenze).

Li mette in crisi perché, a forza di essere discrezionali, si rischia di diventare anticostituzionali. Ammettiamo che il nostro Signor Nessuno non abbia mai realmente pensato di rivendere le 3000 dosi. Ma che razza di legge è una legge che permette al ricco di andare assolto dopo avere comprato mezzo chilo di coca e tiene in galera un altro, o magari lo lascia morire, solo perché il suo conto in banca non registra cifre a tanti zeri? Provate a fare due calcoli. Se con 400mila euro potete detenere 470 grammi di cocaina pura, 851 euro sull’estratto conto dovrebbero evitarvi il processo per un grammo. È davvero così? No.

C’è però un’altra possibilità. Ed è che la sentenza del gup di Firenze serva a rimeditare l’utilità di una legge confusa e che riapra il dibattito su una questione delicata e mai realmente risolta fino a portare alle modifiche da più parti richieste alla attuale legislazione sugli stupefacenti. Anche perché, è opportuno ricordarlo, nel 1993, un referendum popolare disse no alle sanzioni penali per il consumo personale di droghe leggere. E lo disse per tutti, non soltanto per i “benestanti” titolari di conti correnti pesanti.

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