Sono i giorni successivi ai due attacchi terroristici che hanno paralizzato Bruxelles e, ancora una volta, l’Europa. Su ogni canale di comunicazione – giornali, internet, televisione – rimbalzano le immagini e i commenti di una nuova tragedia. Il ritmo di questi avvenimenti sta diventando sempre più sincopato: quasi quotidianamente siamo esposti a ultimissime con annunci di stragi o atti terroristici, veri o presunti.

Bruxelles, giorno dopo attacchi: tra controlli e commemorazioni

La paura del terrorismo è al primo posto tra le angosce che dominano l’immaginario collettivo. Le indagini ci raccontano che un italiano su due sperimenta un grande senso di insicurezza e precarietà legato al diffondersi delle guerre e degli attentanti, mentre cala la preoccupazione nei confronti della criminalità comune. Rimangono diffuse le paure legate alla precarietà economica, all’estensione delle nuove povertà, ai flussi migratori, ai disastri naturali. Questo sentimento è percepito in modo significativamente più marcato tra le persone adulte rispetto ai giovanissimi (15 – 24 anni) e si impenna nei soggetti che trascorrono più di quattro ore davanti alla televisione.

Che riscontro hanno questi dati nella vita psichica? Come leggerne gli effetti? Tra chi si affaccia alla consultazione o alla terapia psicologica è facile rilevare una predominanza di problematiche ansiose. Il senso di incertezza, i confini sociali più sfumati che in passato, il cambiamento dei punti di riferimento e dei valori familiari e sociali, si traducono nell’individuo in un senso di costante minaccia verso qualcosa che incombe da fuori: il rapinatore che affolla i sogni o la paura a tornare da soli la sera, il senso di smarrimento se non prende il telefono o il panico che arriva all’improvviso in un centro commerciale. Tutti segni del faticoso lavoro che deve fare la psiche per adattarsi a un mondo in veloce cambiamento. La paura, d’altra parte, è una delle emozioni fondamentali per la Costituzione della personalità, è una stella polare che orienta nella definizione di ciò che è rassicurante e amico, e di ciò che è minaccioso e nemico.

La soluzione a questo malessere risiede nella plasticità, e non stupisce che siano i giovanissimi ad avere più risorse. Nati in una generazione già privata di certezze, immersi in un collettivo indeterminato per definizione, hanno più possibilità di vedere nell’incertezza una risorsa. Le coordinate per essere nel mondo hanno infatti importanti eredità collettive. I ventenni di oggi sono cresciuti in quella che il sociologo Zygmunt Bauman ha chiamato con espressione felice “società liquida”: legami sociali più disgregati, punti di riferimento instabili, connessioni di causa-effetto non scontate.

Il lato oscuro di questa medaglia rivela una scarsa tendenza ad assumersi responsabilità individuali e, soprattutto, un diffuso senso di solitudine. Il lato in luce ci mostra che, con radici più fluide, cresce la fiducia verso orizzonti diversi e la curiosità di esplorare territori sconosciuti, dove lo stato di indefinitezza può non essere la condanna ad una paralisi spaventata, ma la condizione per creare nuove significazioni.

Essenziale è non negare il peso specifico del negativo, perché sarà compito delle nuove generazioni cercare di armonizzare la complessità e le contraddizioni di questi tempi. Se guardiamo questa opportunità dalla scena desolata e terribile di questi giorni, è tantissimo.

di Federica Mazzeo
Psicologa e psicoterapeuta

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