“Secondo le leggi dell’aerodinamica è impossibile che il calabrone stia sospeso in aria. Eppure ci sta. Tutto dice che il calabrone non potrebbe volare ma lui ci riesce e perché, non lo sa”. Così scherzava Angelo D’Arrigo su un “mistero” di cui si occupò anche la Nasa ma lui, l’uomo uccello sapeva perché riusciva a volare, spostando ogni volta più in alto le possibilità umane. “Il volo è la mia passione. Ne ho fatto una carriera professionale, ma è prima di tutto lo scopo della mia esistenza. L’ampiezza degli spazi aerei, la libertà di non seguire un percorso stabilito da una strada; e i tuffi in picchiata nel vuoto con le ali dispiegate a reggere il peso, le accelerazioni gravitazionali nelle virate, la terza dimensione … In me, tutto tende all’aria. Finché i miei piedi toccano terra fremo dal desiderio di librarmi. E’ come una febbre. Perché volare è uno sguardo alternativo sulla realtà che schiude la fantasia”.
Ogni fantasia era diventata realtà per Angelo D’Arrigo che dopo gli innumerevoli record sportivi nel volo libero ha sorvolato mari, deserti, vulcani e catene montuose, insieme a volatili. Dalle aquile delle Alpi ai rapaci dell’Himalaya e dagli avvoltoi dell’America Latina a quelli Australiani, Angelo impara ad osservarli e convivere con loro, nel loro elemento e con le loro regole gerarchiche. Il suo bagaglio di esperienze fu messo al servizio della scienza e materiale per diversi documentari. Da moderno Leonardo da Vinci è stato il primo uomo a percorrere in volo libero, senza ausilio di motore, il Sahara, ad attraversare la Siberia e a sorvolare la montagna più alta della terra: l’Everest. Proprio da questa cima, così come dall’Aconcagua e dall’Etna, centinaia di lanterne si leveranno in volo al tramonto del 26 marzo per ricordare Angelo nel decennale della scomparsa.
Per una tragica combinazione, Angelo scomparve nel 2006 a Comiso quando il piccolo aereo di cui era passeggero precipitò. Una beffa del destino che travolse appassionati, estimatori e la famiglia di Angelo che attraverso la Fondazione non ha smesso di portare avanti i suoi sogni, i suoi insegnamenti e il suo ricordo. Sul vulcano della sua città, Catania, sarà dedicato un grande monumento in pietra lavica a quest’Icaro siciliano conosciuto in tutto il mondo e ribattezzato dai francesi “Le Funambulle de l’Extreme”. Angelo ha lasciato un patrimonio che appartiene a tutti e che è ancora unico e avveniristico come concezione. Ci manca la sua visione sognante e la sua sfida continua che lui stesso spiegava così: “Molti mi chiedono che cosa mi spinga ad andare sempre oltre. Non è agonismo: con le sfide ho smesso da anni. Non è nemmeno il bisogno di misurarmi con i miei limiti, come a volte ho creduto. No, è qualcosa di più semplice e intimo: l’istinto di esistere nella natura a modo mio. Un istinto che mi tiene sveglio la notte, che mi illumina e mi entusiasma. Non seguirlo sarebbe tradire me stesso. Se riesco a sentirmi pienamente vivo soltanto immerso in spazi sconfinati, libero nell’aria sopra deserti o ghiacciai, vulcani o pianure, fiumi, mari, montagne, non è per qualcosa che cerco, ma per quello che sono. La mia vita, in fondo, è questo: un grande volo per tornare alle origini, a uno sguardo di gabbiano sulle falesie della Normandia”.