Sul fronte investigativo, i pm di Roma chiederanno ai colleghi del Cairo di ricostruire ed approfondire l’iter che ha portato i documenti del ricercatore nella disponibilità della persona presso la quale sono stati trovati. E' evidente come la versione fornita dall'Egitto non convinca nessuno
“Sulla morte di Giulio Regeni l’Italia non si accontenterà di nessuna verità di comodo”. Parola di Matteo Renzi. Che nella sua E-news non ha mai fatto riferimento all’ultima versione fornita dalle autorità egiziane sulla fine del ricercatore (“Ucciso da un gruppo di rapinatori“), ma nei fatti l’ha giudicata non veritiera. Lontanissimi i tempi in cui il numero uno del governo si dichiarava soddisfatto per il contenuto dell’intervista rilasciata dal presidente egiziano Al Sisi a Repubblica, in cui il leader africano aveva promesso il massimo impegno per la risoluzione del caso. Che, al momento, tutto è tranne che risolto. Renzi, però, ha detto anche altro sul caso del 28enne friulano: “Consideriamo un passo in avanti importante il fatto che le autorità egiziane abbiano accettato di collaborare e che i magistrati locali siano in coordinamento con i nostri” ha detto il premier, secondo cui “proprio per questo potremo fermarci solo davanti alla verità. Non ci servirà a restituire Giulio alla sua vita. Ma lo dobbiamo a quella famiglia. E, se mi permettete, lo dobbiamo a tutti noi e alla nostra dignità”. Una presa di posizione chiara quella del presidente del Consiglio, che segue pedissequamente la linea scelta sia dalle altre figure istituzionali italiane che, soprattutto, dagli inquirenti che operano in collaborazione con i loro omologhi del Cairo.
In tal senso, gli inquirenti capitolini sanno già cosa chiedere ai colleghi egiziani nell’incontro che si terrà a Roma il 5 aprile così come concordato in occasione della trasferta al Cairo del procuratore Giuseppe Pignatone e del sostituto Sergio Colaiocco: ricostruire ed approfondire l’iter che ha portato i documenti di Giulio Regeni nella disponibilità della persona presso la quale sono stati trovati. Perché è sin troppo evidente come tutta una serie di particolari non convincano. Gli investigatori, ad esempio, hanno accertato come ‘non riconducibile’ a Regeni lo zainetto mostrato alla tv egiziana. I magistrati di piazzale Clodio, in particolare, vogliono scoprire da chi e attraverso quale canale i documenti del ricercatore universitario (passaporto, due tesserini universitari e il bancomat, mentre gli altri oggetti mostrati in televisione, a cominciare dallo zainetto con lo stemma dell’Italia, non sono considerati riconducibili a Giulio) sono arrivati nell’abitazione della parente di uno degli uomini indicato dagli egiziani come sequestratore. Chi indaga a Roma, inoltre, è sempre in attesa, come ricordato ieri dallo stesso Pignatone, della documentazione completa relativa agli accertamenti eseguiti al Cairo, considerato che il materiale finora consegnato risulta parziale.
E mentre le indagini vanno avanti, quella di Matteo Renzi non è l’unica critica, seppur indiretta, al comportamento dell’Egitto. Durissima, infatti, l’accusa della presidente della Camera Laura Boldrini: “L’ennesima versione dei fatti sull’omicidio di Giulio Regeni è scoraggiante e getta un’ombra sul rigore delle indagini svolte in Egitto” ha scritto su Twitter la seconda carica dello Stato. Tornando al presidente del Consiglio, invece, da sottolineare come nella sua E-news abbia affrontato anche altri argomenti, primo fra tutti gli attentati di Bruxelles e la reazione da mettere in campo contro l’Isis. Su questo fronte il segretario del Pd non ha alcun dubbio: “Occorre una reazione durissima nella distruzione di queste cellule, certo. E poi occorre un gigantesco investimento educativo e culturale – ha detto -. Perché l’educazione è il principale fattore per la sicurezza di un popolo. E ci investiremo, senza rinunciare alla nostra identità, ai nostri valori, ai nostri ideali”. Il premier, poi, ha spiegato meglio cosa voleva dire quando ha parlato di annientare il Califfato: “Noi dobbiamo reagire. Distruggendoli, certo. Anche per via militare, dove necessario e possibile – ha aggiunto – Ma la guerra è fatta da stati sovrani, il terrorismo da cellule pericolose o spietate che non meritano di essere considerate stati sovrani. Loro vogliono farsi chiamare Isis, Stato Islamico. Noi li chiamiamo Daesh“.