Nel nostro quindicinale non manca la puntata della perpetua commedia quotidiana della politica nostrana. Con sempre maggior distacco osserviamo da lontano la sceneggiata della preparazione delle elezioni amministrative nelle principali città italiane. Roma e Napoli ci offrono il maggior divertimento, con brogli all’interno di un meccanismo, quello delle primarie, già di per sé sfacciatamente truffaldino; ma anche Milano non scherza, con la destra che candida un ex-socialista e la sinistra (si fa sempre per dire) che si affida a un discusso manager di destra. Vedremo che ne penseranno gli elettori cui viene servito un fritto misto di candidati impresentabili e inattendibili.
Ma, pagato il nostro contributo alla fotografia della Casta in pieno daffare, abbiamo voluto offrire anche uno spunto di riflessione seria. E purtroppo nelle ultime ore una sua variante si è tinta ancora una volta di sangue. Il caso di cronaca da cui siamo partiti è minuscolo. Un professore scrive su un giornale alcune sue riflessioni sulla guerra. Per più volte un gruppo di giovinastri crede di far politica contestandolo violentemente. Scene di questo tipo nel Novecento si sono ripetute milioni di volte. Ma noi abbiamo la pazienza di ripeterci, e non smetteremo mai. Con la consapevolezza che il fanatismo non sarà mai battuto del tutto, perché è consolatorio: il fanatico religioso o politico investe nella scorciatoia dell’”atto” tutta la sua scarsa capacità di pensare. Noi liberali abbiamo difeso il diritto di parola dei negazionisti della Shoah, dei sostenitori delle peggiori abiezioni logiche, dei nostri nemici che se stessero al potere ci farebbero a pezzi, e storicamente ci hanno fatto a pezzi. Figuriamoci se ci spaventiamo di difendere Panebianco, anche se lo consideriamo uno dei maggiori responsabili della creazione della caricatura di un Berlusconi “liberale”.
Coloro che scelgono la violenza ci appaiono come residui dei totalitarismi novecenteschi, tutti falliti, ma che hanno ancora uno strascico di piccole Verità assolute, palingenesi da sbandierare e ridotte al Gesto. Tutta roba antidiluviana, che negli ultimi decenni si è imbevuta anche del peggio del secolo, quella società dello spettacolo figlia della società di massa.
L’apparire è diventato mille volte più importante dell’essere, o dell’argomentare. Dispiace che in Italia, dopo che atteggiamenti di questo tipo hanno portato lutti inutili e sono stati strumentalizzati più che ampiamente dal Potere e dalla Destra, la Sinistra non abbia neppure cominciato ad affrontare questo argomento. La nonviolenza è sentita come qualcosa di estraneo alla tradizione, ed è vero, ma ha torto la tradizione. Così giace immersa nella palude del buonismo del “politicamente corretto” e dell’autoritarismo della repressione per legge di qualunque “parola” non ortodossa o eretica.
di Enzo Marzo
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