Interrogazioni e anche una lettera ai presidenti delle Camere sul “caso” delle candidature comprate. Tutte senza risposta. Il M5S va all’attacco chiedendo a tutte le istituzioni interessate una risoluta “condanna di tali pratiche”. Un’offensiva che muove dall’inchiesta del fattoquotidiano.it sulle modalità di autofinanziamento dei partiti tramite contratti e “patti di candidatura” a valere sugli stipendi dei deputati e senatori che riescono a far eleggere nei vari livelli, dalle politiche alle amministrative. Una sorta di “tassa sul seggio” spacciata però per “donazione liberale” negli statuti e nei regolamenti dei partiti che la praticano e che di liberale in realtà non ha nulla: chi non sottoscrive l’impegno a versare infatti non viene candidato, chi non lo mantiene una volta eletto viene deferito alle commissioni dei garanti e al prossimo giro non sarà rimesso in lista per la successiva rielezione. Non a caso l’ex tesoriere del Pdl Maurizio Bianconi, che ne ha fatta esperienza diretta, ha bollato tale pratica come “estorsiva”.
A pretendere chiarezza, con ogni mezzo, è l’unico gruppo politico che ai propri parlamentari chiede sì di restituire parte del denaro ricevuto, ma per girarlo allo Stato, non per finanziare un partito. Diverse le iniziative avviate dai “grillini” l’indomani della pubblicazione dell’inchiesta. La prima è una lettera aperta ai presidenti di Camera e Senato firmata il 15 marzo dai rispettivi capogruppo del M5S, Michele dell’Orco e Nunzia Catalfo. I due esponenti prendono spunto proprio da un passaggio dell’inchiesta che sarà confermato da diversi esponenti del Pd, a partire da Corradino Mineo. “Sì – aveva ammesso l’ex senatore dem – poco dopo aver sottoscritto la candidatura mi arrivò dalla tesoreria siciliana del Pd la richiesta di versare 25mila euro per essere stato messo in posizione utile in lista”. Ma era solo l’anticipo perché la “tangente sul seggio” costa molto di più e dura per tutta la legislatura. Secondo quanto abbiamo ricostruito il “tariffario dei partiti” oscilla tra i 70mila euro di Forza Italia ai 150mila del Pd.
“Una pratica del genere non può essere accettabile in un Paese che si professa democratico, perché equivale a mettere in vendita la rappresentanza dei cittadini e si ledono i dettami costituzionali in riferimento all’elettorato attivo”. La lettera termina con una richiesta di chiarimenti ai presidenti dei due rami del Parlamento: “Per le ragioni su esposte – si legge – che possono essere chiaramente comprese da chi occupa posizioni di presidio della democrazia quali le Vostre, è necessario fare luce su questa vicenda. Per questo vi chiediamo di intervenire, per quanto di Vostra competenza, per verificare l’esistenza di questa prassi e condannarla con ogni mezzo”.
L’iniziativa è raddoppiata da un’interrogazione direttamente al Presidente del Consiglio dei ministri a firma di Luigi di Maio, Alessandro Di Battista, Carlo Sibilla e Roberto Fico. Quest’ultimo ne ha poi presentata una seconda diretta al Ministro dell’Interno Angelino Alfano. Il tema è declinato, in questa, rispetto all’ordinamento e alla disciplina dei partiti che non sono oggetto di regolazione pubblicistica e tuttavia svolgono “attività costituzionalmente rilevanti”, tra le quali le modalità di candidatura per le elezioni che sono, nella vacanza di una disciplina specifica, “rimesse alle libere ed autonome valutazioni dei soggetti politici”. Che, come svelato dall’inchiesta del Fatto, si traducono in un vero e proprio “mercato delle candidature”, dove agli aspiranti candidati i partiti richiedono il pagamento di una somma di entità variabile a seconda del “margine di sicurezza” connesso al posizionamento del candidato nella lista cd. bloccata.
“Si tratta dunque non già di erogazioni liberali – insiste il presidente della commissione Vigilanza Rai – quanto piuttosto di donazioni imposte dal partito di appartenenza sulla base di un “tariffario” scientificamente basato sul margine di sicurezza dell’elezione. Di là dai profili etici, evidentemente gravi, le liste formate da soggetti candidati sulla base di simili accordi economici appaiono irrimediabilmente in contrasto con i principi di eguaglianza delle opportunità e di partecipazione dei cittadini alla vita democratica, e dunque la loro accettazione da parte degli organi istituzionalmente preposti determina la conseguente violazione delle disposizioni legislative che regolano la fase preparatoria delle elezioni e che di quei principi costituzionali sono poste a presidio. Né vale sostenere che la prassi adottata da numerosi soggetti politici di richiedere ai propri parlamentari la restituzione, per varie finalità, di parte dell’indennità percepita per lo svolgimento del mandato costituisca prassi speculare a quella in oggetto, giacché il cd. “mercimonio dei seggi” pregiudica a monte la regolarità del procedimento elettorale, e quindi la stessa formazione dell’assemblea rappresentativa”. In conclusione, l’interrogazione chiede al Ministro degli Interni “quali iniziative urgenti intenda adottare, nell’ambito del suo ruolo di garanzia della regolare costituzione degli organi elettivi, al fine di impedire che l’accesso alle liste dei candidati per le elezioni politiche sia subordinato all’elargizione di somme di denaro, considerato che tale prassi deteriore mina alla radice l’integrità e la regolarità del procedimento elettorale”. Al momento, né i presidenti delle Camere né Alfano, né il premier hanno risposto.