Nell’ormai lontano 2004 fui invitato a L’Infedele, su La7, da Gad Lerner. Il tema della trasmissione, in occasione della presentazione del libro di Pietro Adamo Il porno di massa (Cortina), era “Porno e burka”. Non fu una trasmissione particolarmente brillante (movimentata solo da qualche provocazione di Giuliano Ferrara) perché, come zenith e nadir, si fronteggiarono da una parte Adamo con le sue teorie libertarie e dall’altro un rappresentante della moschea milanese, di cui non ricordo il nome, che bollava il porno come causa di una imminente implosione della società occidentale.
Quella trasmissione mi è tornata in mente leggendo, nei giorni immediatamente successivi agli attentati di Bruxelles, la conferma della notizia (di cui s’era avuta già eco in passato) secondo la quale, come altri militanti Daesh, Ibrahim Bakroui e Brahim Abdeslam, terroristi di Molenbeek, condividessero la visione «di filmati truculenti firmati Isis, alternata a una massiccia dose di pornografia» (Marco Imarisio, Corriere della Sera del 24 marzo 2016).
Tutto ciò non fa che confermare le contraddizioni di questo islamismo deviato e peggior nemico di quello moderato, che, da una parte, si dichiara integerrimo difensore dei costumi e, dall’altra, è ai primi posti nel consumo di pornografia che, per altro, è “interpretata” da donne occidentali, quelle che il predicatore salafita egiziano Abu Islam, dalla sua emittente satellitare al Ummah, ha bollato come «femmine cristiane che si accoppiano con cani e gatti che usano come sostituti dei loro mariti». Il che aggiunge anche il razzismo. Per di più, come ha scritto Louise Shelley della George Mason University, «l’organizzazione terroristica di al-Baghdadi ha avviato le sue attività anche grazie a soldi raccolti con il commercio illegale di materiale hard, nonostante segua e imponga un’interpretazione della Sharia che punisce severamente la pornografia così come i costumi sessuali liberi». E, per esempio, in Afghanistan – sempre secondo il rapporto della Shelley – sul computer di Osama Bin Laden fu trovato materiale porno. Come in Italia: l’operazione Al Mohajiroun a Milano, nel 2001, ha scovato immagini pedopornografiche nel centro islamico di via Quaranta (cellula di Al Qaeda guidata dal defunto Abdelkadar Mahmoud Ed Sayed). Anche se Stefano Dambruoso, pm a Milano nell’ambito dell’antiterrorismo islamico, dichiarò che «le cellule legate ad Al Qaeda utilizzano immagini pornografiche per camuffare i loro messaggi», tendendo ad escludere che avessero tendenze pedofile.
E in Spagna: The Times ha svelato che (ottobre 2007) la Guardia Civil ha trovato sul computer di Abdelkader Ayachine (l’algerino che reclutava a Burgos kamikaze per spedirli in Iraq e in Afghanistan) un cocktail di video di Bin Laden e di foto pornografiche. Da qui nacque anche l’inquietante ipotesi che quelle foto venissero usate per richiamare ragazzini e poi trasformarli in “materiale autoesplosivo”. E anche i video pedopornografici trovati nei pc degli autori degli attentati di Parigi potrebbero essere un sistema di criptazione di messaggi d’altro genere. O forse ha ragione Hamza Yusuf del Zaytuna College di Berkeley, in California, convinto che molti ragazzi consumatori di hard passino all’Isis in quanto «si sentono impuri» considerandosi quasi dei sex-addicted?
Un commercio, comunque, quello del porno, che, al di là del terrorismo, nei paesi musulmani è assai fiorente come confermano i dati forniti da Similar Web che ci fa sapere come Iraq ed Egitto detengano la massima percentuale mondiale di siti per adulti, mentre Arabia Saudita, Emirati, Qatar e Indonesia si pongono ai primi posti per consumo di materiale per adulti.
Ricordo una puntata di Otto e mezzo, la trasmissione di Lilli Gruber (mi pare dell’ottobre 2015) in cui Paolo Pagliaro, nel suo “Punto”, ci faceva sapere che il pur alto consumo di “luci rosse” nei paesi di religione musulmana sopra citati, è frenato dalcosiddetto «indice di rimbalzo», ovvero che le visite degli islamici sui siti hard sono brevi, touch and go, forse per paura di essere “beccati”. Le “Commissioni per la promozione della virtù e la prevenzione del vizio“, infatti, gestite dalle polizie di quei paesi, non si fanno troppi scrupoli ad arrestare i fruitori di filmati a luci rosse.