Una delle cose che colpisce quando si parte dall’aeroporto di Ben Gurion, ad Israele, è la sensazione di non essere in un gigantesco grande magazzino dove per arrivare all’imbarco bisogna percorrere chilometri e chilometri tra una folla di persone intente a fare shopping, a magiare e bere o semplicemente a passeggiare, ma di trovarsi in un edificio assolutamente funzionale al viaggiatore per quanto riguarda la sicurezza. Ma Israele è un paese che con il terrorismo ci convive da decenni. L’idea che l’aeroporto sia un tempio del consumismo occidentale, uno shopping mall, dove i viaggiatori riempiono il bagaglio a mano di prodotti folkloristici e cibi locali, come succede nel Vecchio Continente, è per gli israeliani assurda. All’aeroporto, alla stazione degli autobus ed in quella ferroviaria si va per spostarsi da un punto all’altro, sono luoghi affollati e quindi potenzialmente ottimi obiettivi per i terroristi, quindi è meglio attraversarli velocemente e restarci il meno possibile.
Forse anche noi europei dovremmo imparare a convivere con la minaccia del terrorismo, almeno per qualche tempo. In un anno e mezzo l’Europa ha subito 14 attacchi terroristici, di varia grandezza ma tutti di grosso impatto. Gli obiettivi hanno incluso una rivista, un locale rock, una caffetteria, un negozio di alimentari, uno stadio di calcio, un treno, una sinagoga – e ora una sala partenze di un aeroporto ed una metropolitana. Se questo è un trend allora sicuramente bisogna rivedere la sicurezza un po’ dovunque, ma specialmente agli aeroporti. Ciò non significa aumentare ulteriormente le procedure di controllo. Fino ad oggi infatti è proprio questo che si è fatto, ogni volta che si è verificato un attacco alla sicurezza è stata aggiunta una nuova procedura.
Dopo l’11 settembre sono stati introdotti i controlli a tutti i passeggeri ed al baglio a mano che viene portato in cabina per evitare che qualcuno faccia salire a bordo persino un taglierino. Nel 2006, quando a Londra venne sventato un complotto per creare una bomba liquida – si badi bene mai prodotta – da portare a bordo, si decise di vietare tutti i contenitori di liquidi superiori ai 100 ml. Nel 2009, infine, dopo la scoperta delle componenti chimiche di un esplosivo al plastico nelle mutande in un attentatore, si decise di introdurre i body scanner. In alcuni aeroporti, ad esempio ad Istanbul, già esistono controlli prima di entrare nel terminal. Sono stati introdotti dopo l’attentato all’aeroporto Domodedovo di Mosca del 2011, quando un attentatore suicida si è fatto esplodere nella sala arrivi uccidendo 37 persone.
Ma non è però detto che aumentando il numero dei controlli e rendendo la vita del viaggiatore ancora più stressante, la sicurezza contro gli attacchi terroristi futuri aumenti. Anzi, come ha fatto notare il ministro degli Interni britannico, Theresa May, introdurre un altro strato di sicurezza potrebbe far crescere la folla dei passeggeri e spostarla da una zona all’altra offrendo ai terroristi un obiettivo facile da colpire.
E’ chiaro che gli attentatori cercano luoghi dove c’è un alto numero di persone, e gli aeroporti, le stazioni delle metro o quelle ferroviarie sono luoghi ideali dove far strage di cittadini. Lo stesso vale per gli stadi. Ma a differenza di questi ultimi, aeroporti e stazioni sono obiettivi più difficili da proteggere perché il flusso dei viaggiatori è continuo e mantenere costante un alto livello di sicurezza non è così semplice.
Gli israeliani usano una serie di tecniche che fino ad oggi hanno avuto successo. In primis l’aeroporto è concepito come una fortezza non come uno shopping mall, per accedervi bisogna passare un primo controllo a circa un chilometro di distanza. Le dimensioni dell’aeroporto Ben Gurion sono naturalmente molto ridotte rispetto ad aeroporti faraonici come quello di Madrid, di Barcellona o di Heathrow, dove ben 75 milioni di persone vi transitano ogni anno. Certo il numero dei passeggeri in Europa è molto più alto che in Israele, ma gli aeroporti europei sono stati costruiti per invogliare la gente a fare shopping nell’attesa di imbarcarsi, non per muovere i passeggeri velocemente e ridurre la folla. E questo è un problema logistico. I viaggiatori oggi trascorrono più del doppio del tempo all’interno dell’aeroporto dopo aver passato la sicurezza, si badi bene, che prima dell’11 settembre. Perché? Perché fanno shopping ed i tempi per raggiungere gli imbarchi si sono moltiplicati perché per farlo sono stati costruiti lunghi percorsi ad hoc attraverso negozi, ristoranti e duty free.
Gli israeliani non perdono tempo a controllare i liquidi dei viaggiatori, cosa che invece spesso crea enormi colli di bottiglia ai controlli di sicurezza di Heathrow. Si concentrano nel profiling, che possiamo definire una sorta di analisi psicologica dei passeggeri da parte di professionisti della sicurezza. In sostanza ciò significa individuare i potenziali attentatori sulla base di dati personali che vengono raccolti in vari modi, e.g. osservando il loro comportamento in aeroporto o intervistando i passeggeri al check in.
Certo qualcuno potrebbe controbattere che fare il profiling di 75 milioni di passeggeri ad Heathrow è impossibile, ma non è così. Il profiling individua immediatamente chi viaggia molto, per motivi di lavoro o familiari, questi sono i passeggeri che non hanno bisogno di essere controllati perché non presentano alcun rischio. Negli Stati Uniti la Tsa ha introdotto un sistema simile, a chi viaggia spesso viene applicato un controllo di sicurezza meno invasivo e più veloce che agli altri. Ciò permette una maggiore concentrazione di risorse sui passeggeri potenzialmente ‘a rischio’.
A quanto pare dai video degli attentatori dell’aeroporto di Bruxelles risulta che nessuno dei tre aveva bagaglio a mano e due indossavano un guanto nero solo nella mano sinistra, probabilmente perché in quella mano avevano il detonatore dell’esplosivo. Due fattori sufficientemente inusuali per allertare all’ingresso le forze di sicurezza in borghese se ci fossero state, come invece da decenni avviene in Israele.