Umberto Pizzi apre le porte del suo archivio al Fatto Quotidiano: 50 anni di scatti che raccontano la storia d’Italia. Circa due milioni di foto, che il ministero dei Beni culturali ha deciso di conservare per le future generazioni. Lontanissimo dai fasti del Cafonal, Pizzi inizia la sua avventura in quel di Zagarolo, in provincia di Roma. “Fotografavo i bambini o il mio vecchio vicino, aveva un volto che sembrava scolpito nel marmo”. Poi lo sbarco con la Fao in Medio Oriente. “Ho viaggiato dove c’era la fame nera e i bambini venivano addestrati alla guerriglia”. Nella Grecia dei Colonnelli, Pizzi assaggia la galera: “Avevo fotografato un dissidente, la polizia mi diede la caccia ma li seminai a bordo della mia Mini-Minor. Quando tornai in Grecia mi spedirono in galera per 7 giorni. Dissero che ero una spia bulgara. Bah… mai stato in Bulgaria”. Negli anni ‘90 Umberto Pizzi finisce poi nella lista della Mitrokhin, l’elenco degli italiani al soldo dei Servizi russi. Nome in codice: Walter. “Era un bufala, ma io temevo di perdere il lavoro. Invece, mi guardavano affascinati, manco fossi stato James Bond” (riprese e montaggio di Paolo Dimalio e Samuele Orini)
Domani, lunedì 28 marzo, la seconda parte dell’intervista: dall’incontro cn il mondo dei paparazzi negli anni ’60 alla consacrazione del Cafonal