Non è un’invasione di campo e neppure il violare la separatezza dei poteri dello Stato. Accade spesso che nel corso di requisitorie, a conclusioni di complessi processi per gravi reati di criminalità organizzata, magistrati del pool anticamorra fotografando dal dì dentro un pezzo di realtà, riflettano sulle cause di fenomeni e suggeriscano possibili soluzioni non giudiziarie. E’ accaduto qualche giorno fa in aula quando il pm Henry John Woodcock nel chiedere 22 condanne a svariati anni di carcere per luogotenenti e affiliati al clan dei Polverino, cosca molto ramificata e specializzata nell’importazione e vendita su vasta scala di marijuana e hashish, ha parlato dell’uso delle droghe leggere spiegando che per la criminalità organizzata sono fonte di arricchimento e serbatoio garantito di manovalanza.
Non si ferma l’analisi del magistrato che prosegue sostenendo che è meglio legalizzare le droghe leggere perché così facendo si evitano spargimenti di sangue e un danno allo Stato. E cita un agguato avvenuto il 15 luglio 2009 quando senza permesso del clan un piccolo spacciatore cominciò a vendere marijuana senza l’ok dei Polverino. Sollecitazioni che dovrebbero contribuire ad aprire e alimentare un dibattito e far maturare un cambio di rotta del nostro paese. C’è un ampio ventaglio di testimonianze di addetti ai lavori a sostegno di questa soluzione. Senza dimenticare i gruppi autonomi, i collettivi ed i movimenti che da decenni ne hanno fatto una vera e propria battaglia: legalizzare le droghe leggere. Opinione condivisa anche dallo scrittore Roberto Saviano che scrivendo il suo ultimo libro: “Zero Zero Zero”, si è convinto che legalizzare potrebbe togliere ricchezza e potere ai clan.
Non è la prima volta che Woodcock, un magistrato in prima linea nell’attività giudiziaria, nel corso di una requisitoria si esprima anche su aspetti meno attinenti alla fase d’indagine e ricostruzione di fatti giudiziari. Il mese scorso nel corso del processo della “Paranza dei bimbi” ha distinto i ruoli e le responsabilità dei protagonisti del nuovo clan di Forcella. Se da un lato ci sono giovanissimi figli e nipoti di camorra dall’altra invece ci sono ragazzi adolescenti, non sempre criminali ma figli di artigiani, onesti lavoratori, persone umili. Proprio a loro il magistrato auspica una seconda possibilità perché trascinati dalla malavita, culturalmente deprivati e quindi soggetti deboli che finiscono nelle braccia della camorra. Uno spunto su cui le istituzioni dovrebbero essere pronte a misurarsi: costruire e offrire un’opportunità, bonificare i territori di camorra occupandoli e costruire un senso, una narrazione diversa.
E quello che chiedeva inutilmente un altro magistrato di punta come Giovanni Corona, il pm che nel 2004 indagò sulla faida di Scampia e arrestò boss e assassini. Parlando di Scampia spesso ha denunciato come sia un quartiere abbandonato a sé stesso perché non è stato fatto nulla e dove l’urbanistica è stata piegata alle esigenze delle attività di spaccio. Sollecitazione che non è rimasta lettera morta. A Scampia tra mille difficoltà e problemi c’è una nuova speranza che viene fuori e diventa realtà con l’associazionismo, le scuole, la rete del volontariato e l’attività delle forze dell’ordine. Ma soprattutto con i progetti in cantiere e le nuove assegnazioni delle abitazioni agli aventi diritto che hanno partecipato al bando pubblico e non certo per essere amici degli amici.
Ecco la politica sia generosa, accolga idee e suggerimenti solo così la foresta potrà crescere con il contributo di tutti.