La Corte di Cassazione sarà chiamata, il prossimo 7 aprile, a pronunciarsi sulla richiesta degli avvocati Francesco Arata e Margherita Benedini di annullare la sanzione di 100 euro inflitta, dal tribunale di Torino, alla cronista di Radio Popolare, Flavia Mosca Goretta, per le sue cronache, nel novembre del 2011, dalla Val di Susa.
Si tratta di una vicenda esemplare e potenzialmente rischiosa per l’esercizio del diritto di cronaca e per i valori racchiusi nell’articolo 21 della Costituzione.
Flavia Mosca Goretta stava, infatti, seguendo e documentando una delle tanti manifestazioni che hanno segnato e segnano, in Val di Susa, la contrastata vicenda della realizazione di una nuova tratta della ferrovia ad alta velocità. Radio popolare, storica emittente di Milano, ha da sempre fatto del racconto in presa diretta un suo tratto distintivo, anche per questo Flavia Mosca era entrata nel cuore della manifestazione e delle tensioni di quella giornata, raccogliendo testimonianze dirette e non mediate dalle parti in conflitto.
Da qui la denuncia per non aver rispettato le disposizioni della polizia e addirittura di aver partecipato ad azioni di danneggiamento. Il giudice monocratico di Torino ha archiviato l’accusa di danneggiamento, ma ha ritenuto di infliggere un’ammenda di 100 euro, perché la cronista “… si era introdotta nell’area interdetta per acquisire notizie utili, pur potendole acquisirle anche diversamente…”.
La sanzione è esigua, ma il principio è pericoloso e ambiguo, in radicale contrasto con il diritto di cronaca, con le sentenze della Cassazione e con l’articolo 21 della Costituzione. Compito del cronista, infatti, è proprio quello di andare oltre le versioni ufficiali, di svolgere una funzione di controllo pubblico e sociale, come per altro affermano testualmente tutte le sentenze della Corte europea.
Cosa avrebbe dovuto fare la cronista, restare fuori dal recinto? Attendere le versioni della Questura o dei NoTav e limitarsi a registrarle?
Utilizzando lo stesso metro cosa avrebbero dovuto fare i cronisti, per fare un solo esempio, nei giorni della “macelleria cilena” alla caserma Diaz di Genova?
Avrebbero potuto acquisire notizie di “pubblico interesse” restando fuori dai recinti autorizzati?
Ci auguriamo che la sanzione decisa dal giudice di Torino possa essere cancellata dalla Cassazione, anche per evitare che, dentro quei recinti, possa essere rinchiuso non solo il diritto ad informare del giornalista, ma anche il diritto ad essere informato che appartiene ad ogni cittadino della Repubblica.