Secondo parte del racconto di Umberto Pizzi che apre le porte del suo archivio al Fatto Quotidiano: 50 anni di scatti che raccontano la storia d’Italia. Circa due milioni di foto che il ministero dei Beni culturali ha deciso di conservare per le future generazioni. Negli anni ‘60 Pizzi diventa il fotografo della Dolce Vita. “Liz Taylor mi chiamava rubber face, faccia di gomma, perché sembravo un amico ma ero spietato. La immortalai ubriaca, più di una volta. Una sera mi chiese di ballare, perché aveva perso un gioiello e io glielo avevo ritrovato. Gli dissi di no perché dovevo lavorare”. Pizzi ricorda bene Marcello Mastroianni, “un povero succube delle donne”, Aristotele Onassis quando gli rovesciò lo champagne sulla macchina fotografica. “Ma il mio preferito era Richard Burton: al suoi funerale i parenti si sbronzarono e cantarono”. Quando rapirono Aldo Moro, in via Fani, Pizzi arrivò talmente vicino alla scena del crimine da camminare sui proiettili. Poi la folgorazione del Cafonal, nel 1994, con Silvio Berlusconi e i leghisti. “Erano i veri cafoni e di sera con le ragazze combinavano di tutto. Una sera, al Gilda, un gruppo di leghisti e forzisti festeggiarono il compleanno di una collaboratrice inondandola di champagne. Capii che quello era il mio lavoro: raccontare il cambiamento antropologico di una società, questo è il Cafonal. E non c’è libro che possa farlo meglio di una fotografia” (riprese e montaggio di Paolo Dimalio e Samuele Orini)