In principio ha vinto l’entusiasmo. Poi il rebus è diventato un rompicapo per fini costituzionalisti. Talmente difficile che per procedere alla riforma degli enti locali in Sardegna sono passati quasi 4 anni dal referendum ribattezzato “anticasta”. E, ora che si è arrivati al traguardo, in realtà mancano pochi mesi al referendum costituzionale che abolirà definitivamente tutte le Province in Italia. Il referendum sardo, la prima iniziativa in Italia per ridimensionare il numero degli enti intermedi, aveva stabilito la fine delle Province cosiddette “nuove”: in tutto 4 su 8 per un milione e 600mila abitanti. In mezzo, nella nebbia amministrativa, sono cambiati due governi nazionali e due regionali. E ancora un intero anno da gennaio 2015, quando è stato approvato dalla giunta Pigliaru il disegno di legge che porta la firma dell’assessore regionale Cristiano Erriu. Ora tutto è fatto, o quasi: l’abolizione non è proprio un’abolizione.
Ancora commissari straordinari, addio alle “nuove”
In Sardegna la riforma è diventata legge. Si va a scaglioni: il nuovo schema sarà effettivo a maggio. Fine delle province? Ni. Di certo quelle cosiddette storiche, con genesi statale, resteranno fino al responso del referendum nazionale. Si parla di Cagliari (che diventa Sud Sardegna), Nuoro e Sassari. Più Oristano, la cui nascita è arrivata nel 1974. Le altre, quelle cancellate dalla consultazione regionale, sono quattro. La loro vita è durata 14 anni: Sulcis-Iglesiente, Ogliastra, Medio Campidano e l’agguerrita Olbia-Tempio. La prima legge regionale che le ha istituite è del 2001 (in virtù dell’Autonomia sarda), nel 2005 le prime assemblee elette. Per ognuna due capoluoghi: centri medi o piccoli. Ora è di nuovo tempo di commissari straordinari che traghetteranno le quattro verso la soppressione. Prima, però, sarà necessario il travaso di competenze.
La battaglia delle etichette (e dei fondi)
L’iter è stato tempestato di difficoltà: quelle della politica, quelle dei campanili. Il risultato è una nuova cartina geografica e amministrativa. Non solo, il compromesso ha prodotto nuove etichette per sanare conflitti storici, come quelli tra le due città principali dell’isola, Cagliari e Sassari. Ed è su questo asse che si delinea il nuovo equilibrio. E non è un caso che dal Nord-Ovest arrivino anche figure di primo piano della giunta regionale e del consiglio. Tra tutti, i due presidenti: rispettivamente, Francesco Pigliaru e Gianfranco Ganau. Alla prima, Cagliari, è stato assegnato il titolo di Città metropolitana, la seconda si è dovuta accontentare di diventare Rete metropolitana. Questione di risorse da assegnare e di abitanti: la prima ne deve avere circa 500mila (grazie a 17 Comuni), la seconda due città-polo (Sassari e Alghero), più infrastrutture come porti e aeroporti ed è, di fatto, equiparata alla città metropolitana. In ballo ci sono appunto i soldi: fondi nazionali, regionali ed europei per Cagliari e Sassari.
Per le Unioni dei Comuni, invece, ci sarà un Fondo unico. La spesa prevista per il funzionamento a regime della nuova macchina sarebbe la stessa sostenuta finora: 600milioni l’anno. Nessun risparmio macroscopico, quindi. Salvi anche gli attuali 2mila dipendenti. Tante le ipotesi organizzative via via accantonate: dalla Provincia Tirrenica alla creazione di ossimori come le “mini città metropolitane”. Per l’ultima versione, quella ufficiale, le accuse più accese sono quelle di dividere la Sardegna e di renderla terra ancora più fragile con le Unioni dei comuni a cui i piccoli paesi hanno l’obbligo di aderire. L’addio sulla carta è quindi arrivato con molti malumori. Soprattutto da parte dei galluresi di Olbia-Tempio.
Tra le novità anche le città medie (con almeno 30mila abitanti) come Nuoro e Olbia. Altra creazione la Rete urbana, per le ex del Sulvis: Carbonia e Iglesias, meno di 30mila abitanti. “Siamo l’unica regione – spiega l’assessore Erriu – ad aver reso obbligatoria l’adesione di tutti i Comuni ad una unione. Questa giunta ritiene che le unioni di Comuni siano il vero progetto innovativo sul quale puntare e una sfida decisiva per il futuro”.
Il debutto
Intanto è arrivato il momento del gran debutto di Cagliari città metropolitana. Massimo Zedda (Sel) rimarrà in carica per pochi mesi, visto che le amministrative (a cui è ricandidato) sono ormai alle porte. Si voterà per il consiglio del nuovo ente, prevista ad aprile un’Assemblea da 40 con una road map già tracciata. Voteranno i consiglieri comunali, oltre 300, con un sistema di voto ponderato. Salvo sorprese dell’ultim’ora visto il pressing per un rinvio. Il territorio, altra eccezione sarda, non comprenderà quello dell’ex provincia ma solo i 17 dell’area vasta. Una lista in cui ora, a cose fatte, tanti Comuni vorrebbero rientrare.
Nuova impugnazione, nuova corsa?
Può quindi partire la nuova (breve) vita delle province sopravvissute. Intanto in Sardegna c’è chi chiede al Governo di impugnare la legge. Forza Italia (che, con l’allora presidente della Regione – Ugo Cappellacci – aveva appoggiato la consultazione anti-casta del 2012) si dice pronta a promuovere un altro referendum abrogativo. L’istanza di impugnazione si basa su un presunto contenzioso costituzionale. “La riforma – spiega il primo firmatario, il consigliere regionale Marco Tedde – è subordinata ai principi di grande riforma economica e sociale come la legge Delrio, quindi nel momento in cui la Città metropolitana non coincide con il territorio della provincia, il riordino viola la stessa legge nazionale e lo Statuto sardo”. Questione di confini, questione di cavilli. E ancora campanili: “Nel complesso si tratta di una legge concepita male e partorita malissimo, con l’unico scopo di creare la Città metropolitana di Cagliari“.