Nel 2012 l'entusiasmo generale accompagnò l'esito della consultazione anti-casta che doveva mettere fino a metà degli enti intermedi dell'isola. Invece nel frattempo la riforma ha creato unioni dei comuni, "mini-città metropolitane", città medie, reti urbane... E al centro di tutto ci sono i soldi in arrivo da Cagliari, Roma e Bruxelles
In principio ha vinto l’entusiasmo. Poi il rebus è diventato un rompicapo per fini costituzionalisti. Talmente difficile che per procedere alla riforma degli enti locali in Sardegna sono passati quasi 4 anni dal referendum ribattezzato “anticasta”. E, ora che si è arrivati al traguardo, in realtà mancano pochi mesi al referendum costituzionale che abolirà definitivamente tutte le Province in Italia. Il referendum sardo, la prima iniziativa in Italia per ridimensionare il numero degli enti intermedi,
Ancora commissari straordinari, addio alle “nuove”
In Sardegna la riforma è diventata legge. Si va a scaglioni: il nuovo schema sarà effettivo a maggio. Fine delle province? Ni. Di certo quelle cosiddette storiche, con genesi statale, resteranno fino al responso del referendum nazionale. Si parla di Cagliari (che diventa Sud Sardegna), Nuoro e Sassari. Più Oristano, la cui nascita è arrivata nel 1974. Le altre, quelle cancellate dalla consultazione regionale, sono quattro. La loro vita è durata 14 anni: Sulcis-Iglesiente, Ogliastra, Medio Campidano e l’agguerrita Olbia-Tempio. La prima legge regionale che le ha istituite è del 2001 (in virtù dell’Autonomia sarda), nel 2005 le prime assemblee elette. Per ognuna due capoluoghi: centri medi o piccoli. Ora è di nuovo tempo di commissari straordinari che traghetteranno le quattro verso la soppressione. Prima, però, sarà necessario il travaso di competenze.
La battaglia delle etichette (e dei fondi)
Per le Unioni dei Comuni, invece, ci sarà un Fondo unico. La spesa prevista per il funzionamento a regime della nuova macchina sarebbe la stessa sostenuta finora: 600milioni l’anno. Nessun risparmio macroscopico, quindi. Salvi anche gli attuali 2mila dipendenti. Tante le ipotesi organizzative via via accantonate: dalla Provincia Tirrenica alla creazione di ossimori come le “mini città metropolitane”. Per l’ultima versione, quella ufficiale, le accuse più accese sono quelle di dividere la Sardegna e di renderla terra ancora più fragile con le Unioni dei comuni a cui i piccoli paesi hanno l’obbligo di aderire. L’addio sulla carta è quindi arrivato con molti malumori. Soprattutto da parte dei galluresi di Olbia-Tempio.
Tra le novità anche le città medie (con almeno 30mila abitanti) come Nuoro e Olbia. Altra creazione la Rete urbana, per le ex del Sulvis: Carbonia e Iglesias, meno di 30mila abitanti. “Siamo l’unica regione – spiega l’assessore Erriu – ad aver reso obbligatoria l’adesione di tutti i Comuni ad una unione. Questa giunta ritiene che le unioni di Comuni siano il vero progetto innovativo sul quale puntare e una sfida decisiva per il futuro”.
Il debutto
Nuova impugnazione, nuova corsa?
Può quindi partire la nuova (breve) vita delle province sopravvissute. Intanto in Sardegna c’è chi chiede al Governo di impugnare la legge. Forza Italia (che, con l’allora presidente della Regione – Ugo Cappellacci – aveva appoggiato la consultazione anti-casta del 2012) si dice pronta a promuovere un altro referendum abrogativo. L’istanza di impugnazione si basa su un presunto contenzioso costituzionale. “La riforma – spiega il primo firmatario, il consigliere regionale Marco Tedde – è subordinata ai principi di grande riforma economica e sociale come la legge Delrio, quindi nel momento in cui la Città metropolitana non coincide con il territorio della provincia, il riordino viola la stessa legge nazionale e lo Statuto sardo”. Questione di confini, questione di cavilli. E ancora campanili: “Nel complesso si tratta di una legge concepita male e partorita malissimo, con l’unico scopo di creare la Città metropolitana di Cagliari“.