Gli inquirenti stanno ancora dando la caccia al terzo sospetto terrorista, il cosidetto "uomo con il cappello" che compare nelle foto degli attentatori dell'aeroporto. Gli investigatori hanno ritwittato il video del 22 marzo in cui compaiono le tre persone riprese dalle telecamere di sicurezza dello scalo, chiedendo a tutti di fornire informazioni nel caso in cui venga riconosciuto. Il quotidiano "Le Soir": "No, è lui". I capi d'accusa non sono però caduti, riportano i media
La ricostruzione della preparazione delle stragi di Bruxelles assume tratti sempre più contorti. Da un lato l’ennesimo colpo di scena: Faysal Cheffou non è “l’uomo con il cappello”. O, quantomeno, gli inquirenti non hanno al momento prove che lo dimostrino. Dall’altro la scoperta che Khalid El Bakraoui, ufficialmente ricercato dalla polizia belga dallo scorso dicembre, ha usato una identità fasulla per nascondersi. Non una qualsiasi, ma quella dell’ex calciatore dell’Inter Ibrahim Maaroufi. In questo modo Khalid ha potuto affittare un appartamento divenuto un covo del commando delle stragi di Parigi. El Bakraoui è transitato dall’Italia a fine luglio 2015, prima di raggiungere Atene. Poco più di un mese dopo, il 3 settembre, come si legge in una nota della procura belga, El Bakraoui ha affittato per la durata di un anno un appartamento in Rue de Fort a Charleroi sotto un falso nome, quello di Ibrahim Maaroufi, nato a Bruxelles il 18 gennaio 1989. Il 9 dicembre dello scorso anno la polizia belga ha effettuato una perquisizione. Nell’abitazione gli agenti non hanno trovato né armi né esplosivo, ma le impronte digitali della mente delle stragi in Francia Abaaoud e di Bilal Hadfi, il giovane terrorista che si è fatto esplodere a Parigi all’esterno dello Stade de France. Maaroufi, calciatore marocchino naturalizzato belga, dal 1° dicembre 2015 è in forza al Fc Schaerbeek, la squadra del quartiere in cui vivevano i fratelli El Bakraoui. Ha disputato due stagioni all’Inter con cui ha collezionato 6 presenze tra coppa Italia e serie A.
La vicenda di Faysal Cheffou. Fermato giovedì scorso, il reporter freelance con un passato da criminale comune è stato rilasciato per “mancanza di prove“, ha fatto sapere la procura. “Gli indizi che hanno portato al suo arresto non sono stati confermati dall’evoluzione delle indagini in corso”, ha segnalato la procura nella nota. Cheffou, in passato accusato di ricettazione, associazione a delinquere e persino di omicidio, era stato arrestato giovedì con due altri sospetti: nessuna arma né esplosivo è stata ritrovata nel suo appartamento durante la perquisizione. Nonostante ciò, secondo quanto riportato dai media belgi, il giornalista resta incriminato per tutti i capi di accusa che gli sono stati contestati, ovvero partecipazione ad attività terroristiche, omicidio e tentato omicidio terrorista. La notizia smentisce quindi l’ipotesi avanzata al momento della scarcerazione che vedeva Cheffou privo di legami con le stragi messe a segno il 22 marzo a Bruxelles.
Nel primo pomeriggio era stata la polizia a far capire che Cheffou non era più considerato il terzo uomo di Zaventem: gli inquirenti avevano ritwittato il video dei tre attentatori dell’aeroporto postato sul sito della polizia il 22 marzo, chiedendo informazioni a chiunque lo avesse riconosciuto o fosse in grado di farlo. Intanto dopo la Turchia (che aveva estradato Ibrahim El Bakraoui, uno dei kamikaze all’aeroporto, poi liberato dalle autorità belghe) anche la Grecia punta il dito contro Bruxelles: l’emittente televisiva Ert sostiene sul proprio sito che “Atene aveva inviato le mappe di Abaaoud (considerato la mente delle stragi di Parigi del 13 novembre e di Bruxelles del 22 marzo, ndr) alle autorità di Bruxelles già nel 2015“.
#Terrorisme #VIDEO suspect à identifier https://t.co/rYdyrBSJqF pic.twitter.com/vdfKWPQSer
— Avis de recherche (@police_temoin) 28 marzo 2016
“La polizia – si legge nel comunicato degli inquirenti belgi – sta cercando di identificare l’uomo. Egli è sospettato di aver commesso l’attentato all’aeroporto di Zaventem martedì, 22 marzo 2016. Se riconoscete questa persona o se disponete di informazioni riguardo all’attacco, si prega – conclude il messaggio postato sul sito web della Polizia federale – di contattare gli investigatori tramite il numero verde 0800 30 300. Discrezione assicurata”.
Sotto la breve nota, dal titolo ‘Sospetto da identificarè‘ è postato un video lungo 32 secondi in cui si vede l’uomo “con il cappello” camminare a fianco dei due altri sospetti kamikaze, spingere il carrello dei bagagli, ripreso da una telecamera a circuito chiuso dell’aeroporto di Zaventem pochi attimi prima delle esplosioni.
Il quotidiano belga Le Soir va in direzione contraria e conferma che, secondo le informazioni in suo possesso, l’uomo con il cappello sarebbe Cheffou. Sul sito del giornale si spiega che gli inquirenti, non avendo ancora potuto recuperare il dna o la confessione del sospetto, hanno voluto comunque rispettare la procedura, lanciando così l’avviso di ricerca sul proprio sito web.
Nei giorni scorsi, i media avevano identificato l’uomo con il giornalista freelance, tra le persone arrestate giovedì scorso. Il 26 marzo il giudice in carica dell’inchiesta sugli attentati di Bruxelles ha confermato l’arresto per Cheffou, con l’accusa di partecipazione ad attività terroriste in relazione agli attacchi del 22 marzo.
Cheffou era stato fermato giovedì sera nel quartiere Jette. Cronista freelance, Cheffou era noto alle autorità così come quasi tutti gli altri membri della cellula che ha portato la morte a Parigi e Bruxelles. Il sindaco di Bruxelles, Yvan Mayeur, aveva segnalato più volte alle autorità competenti il suo “attivismo pericoloso” e il “tentativo di reclutare membri per il suo movimento radicale” nel parco Maximilien, nella zona di confine tra Molenbeek e Bruxelles-centro. Segnalazioni evidentemente finite nel nulla.
L’uomo appare da “giornalista indipendente di Bruxelles” in un video dell’estate 2014, mentre denuncia “maltrattamenti” ai danni di immigrati rinchiusi nel centro di detenzione per irregolari 127 bis di Steenokkerzeel, costruito come un carcere proprio ai bordi delle piste dell’aeroporto di Zaventem. “Sì, buongiorno, sono Cheffou Fayçal, giornalista. Vorrei sapere che sta succedendo”, si presenta il reporter, in piena notte, al citofono del centro. Chiede di parlare a un portavoce, ma gli viene risposto di tentare il giorno dopo con i responsabili di Bruxelles.
Capelli corti, occhiali e microfono in mano, racconta che nel centro di detenzione alle sue spalle gli immigrati sono stati privati di cibo durante il ramadan: “La prigione ha come politica di servire tre pasti al giorno, l’ultimo alle 19. Ma siccome molti di loro rispettano il mese di digiuno sacro, possono mangiare solo dopo le 22″.
Dal centro arrivano urla e fischi, la telecamera stringe sulle finestre mostrando degli uomini che si agitano, scuotono armadietti, rompono oggetti. “A parte il mio cameraman e me, non c’è nessuno qui, nessun politico, nessun media. Lo trovo totalmente irrispettoso dei diritti umani. Sono turbato dai rumori e dalle grida che sento dietro di me e che sono un appello al mondo”.
“Mi rivolgo a chiunque intenda difendere la dignità di ogni essere umano – prosegue nel video – sappiate che queste persone, in soggiorno illegale in Belgio, sono completamente dimenticate. E il loro unico reato è quello di non avere i documenti“.
Tv Ert: “Grecia aveva inviato mappe di Abaaoud al Belgio nel 2015” – La tv greca Ert afferma sul suo sito web che le autorità greche avevano trasmesso a quelle belghe tutti i risultati delle perquisizioni di gennaio 2015 nell’appartamento di Abbaoud ad Atene, grazie alle quali furono ritrovate mappe e disegni dell’aeroporto di Zaventem. Secondo Ert, le autorità greche avevano convenuto con quelle belghe di procedere insieme alle perquisizioni dell’appartamento di Pagrati, dove Abbaoud aveva vissuto a gennaio 2015. Ma la collaborazione è saltata e i belgi hanno chiesto ai greci di procedere da soli.