Valeria Lembo, 33 anni, è deceduta nel 2011 "per avvelenamento": le hanno somministrato una dose del farmaco chemioterapico "dieci volte superiore a quella dovuta". Condannati l'oncologa Laura Di Noto a sette anni per omicidio colposo e falso: ha corretto la cartella clinica a penna insieme allo specializzando Alberto Bongiovanni. Quattro anni e sei mesi al primario Sergio Palmeri
Era soltanto un numero in più, uno zero in abbondanza, quello che in poche settimane ha stroncato la vita di Valeria Lembo, morta a 33 anni mentre si stava sottoponendo ad un ciclo di chemioterapia. Solo che quello andato in onda al policlinico di Palermo alla fine del 2011 non è un semplice errore, ma un fatto molto più grave: “un assassinio”, con tanto di colpevoli, buchi e una “omissione criminali di atti”. “La più grave colpa medica mai commessa al mondo”, l’ha definita il giudice Claudia Rosini, mettendo nero su bianco parole durissime per motivare la sentenza con la quale ha condannato medici ed infermieri del policlinico. “L’utilizzo del termine assassinio non è casuale perché di questo si è trattato, avendo gli imputati cooperato a cagionare la morte di una paziente per avvelenamento somministrandole una dose di vinblastina dieci volte superiore a quello dovuto”, annota il magistrato, come riportato dall’edizione locale di Repubblica, alla fine di un processo durante il quale tutti gli imputati si sono limitati “a negare qualsiasi assunzione di responsabilità, incolpandosi a vicenda”.
Tutto comincia nell’autunno del 2011, quando Valeria Lembo era entrata al policlinico di Palermo per sottoporsi all’ultimo ciclo di chemioterapia: era stata infatti colpita dal tumore di Hodgkin, un tipo di linfoma che di solito è curabile nell’85 percento dei casi. Da quell’ultimo ciclo di chemio, invece, la giovane donna è uscita con l’intero sistema immunitario completamente bruciato nel giro di poche settimane. Colpa dell’errata dose del farmaco chemioterapico che le veniva somministrato: ad ogni seduta della terapia le venivano iniettati 90 milligrammi di vinblastina, un quantitativo dieci volte superiore a quello previsto per una donna di 50 chili. Erano, infatti, appena 9 i milligrammi di farmaco da iniettare nel corpo della donna, e non 90, dose più indicata per “un pachiderma di 600 chili”, come annota sempre il giudice nelle motivazioni della sentenza con la quale ha condannato l’oncologa Laura Di Noto a sette anni per omicidio colposo e falso, e allo stesso periodo d’interdizione dalla professione medica. È la Di Noto che controfirma la cartella in cui lo specializzando Alberto Bongiovanni, a sua volta condannato a sei anni e sei mesi di carcere, commette il fatidico errore: 90 milligrammi invece di 9. L’errore sarà poi camuffato a penna ed è per questo che i due sono stati condannati anche per falso.
“Una dottoressa che aspettava indicazioni del sovradosaggio da un’infermiera – è come il magistrato definisce la Di Noto – Una copiatrice di dati, scelta dal primario Sergio Palmeri perché sempre presente”. Per Palmeri, invece, la condanna a quattro anni e sei mesi è scattata soltanto per omicidio colposo, stesso reato contestato alle infermiere Clotilde Guarnaccia ed Elena D’Emma, condannate ad una pena più mite di sei mesi. “Solo un ricambio completo del sangue – si legge sempre nelle motivazioni – avrebbe potuto dare una speranza alla paziente”. Così non è stato e dopo un’agonia lunga qualche settimana la donna è infatti deceduta, lasciando il marito e un figlio di pochi mesi. E dire che la stessa paziente aveva chiesto più volte informazioni sulla nuova terapia, dato che l’eccessivo quantitativo di vinblastina le veniva iniettato non più con una siringa (che può contenere al massimo 10 milligrammi di farmaco) ma con un’intera flebo.
In almeno un’occasione – ma lo si sarebbe scoperto durante il processo – l’infermiera Guarnaccia avrebbe chiesto informazioni alla Di Noto sulla terapia della Lembo, dato che nell’intero reparto c’erano solo 70 milligrammi di vinblastina ed occorreva richiederne altre dosi. “Riconfrontai la cartella e il dosaggio riportato il 23 novembre. Coincideva”, ha spiegato il medico. Che al processo ha accusato il suo ex tutor, il primario Palmeri: “Mi aveva detto di non dire la verità, di dire ai familiari che la paziente aveva una gastroenterite, un effetto collaterale della chemioterapia”. Valeria Lembo, però, aveva già capito tutto nei giorni precedenti, tanto da raccontare ad una zia: “Mi stanno sbagliando la chemio, me ne sono accorta”.