Cinema

Love and Mercy, non solo musica nel biopic su Brian Wilson

Da sempre la musica è una musa ispiratrice di grande fascino e creatività per il mondo del cinema; nel corso delle varie generazioni infatti, questo dualismo intrigante dai tratti quasi simbiotici è stato spesso il cuore pulsante di opere meravigliose e capolavori intramontabili. Come spesso accade però, anche i migliori rapporti rischiano di rimanere schiavi della ripetitività finendo per essere ingabbiati nell’emulazione di altre formule vincenti ormai stranote. Ecco quindi che la domanda sorge spontanea. Oltre al tema musicale, (questa volta sotto i riflettori è la vita di Brian Wilson dei Beach Boys), era davvero necessario realizzare l’ennesimo prodotto che si andasse ad aggiungere al mare sterminato ed inflazionato di film biografici da cui siamo stati sommersi negli ultimi tempi?

La risposta sembrerebbe scontata e invece fortunatamente Bill Pohland ci presenta un biopic tutt’altro che scontato riuscendo a trovare una combinazione sorprendentemente originale, coinvolgente ed intelligente. Un piccolo spartito pieno di mille sfumature e note colorate, che riesce a percorrere le montagne russe degli stati emotivi dei suoi personaggi senza mai scadere nel didascalismo e nella banalità. Il vero colpo di genio arriva dall’uso accattivante del montaggio che è esemplare nella gestione dei tempi e diventa la vera chiave di volta del film, perché permette di alternare perfettamente gli incroci tra presente e passato in un climax crescente di ritmo e tensione e di collegare le varie parti temporali della narrazione con un filo sottile ed invisibile ma incredibilmente significativo.

Un film che sembra permeato da un grande senso di compensazione dove ad ogni momento di ascesa e di fermento se ne contrappone uno di caduta e di stasi, quasi a voler rappresentare il dondolio continuo della grande altalena della vita. Nonostante Pohland sia molto più noto come produttore (tra gli altri di film come I segreti di Brokeback Mountain, Into the wild e Tree of life) qui dimostra una grande abilità registica nell’amalgamare le varie parti della storia con uno spiccato senso della misura; riesce a fondere perfettamente l’aspetto musicale e drammatico a quello più introspettivo ed emotivo mantenendo sempre un occhio acutamente cinematografico e visionario. Anche nei momenti apparentemente meno rilevanti e nelle scene di raccordo infatti, il film è impreziosito da tanti piccoli dettagli e da spunti interessanti oltre che da soluzioni sonore e trovate visive ricche di originalità e creatività.

Insomma c’è la musica ma anche tanto cinema e parte del merito va sicuramente attribuito alle interpretazioni centratissime di tutto il cast anche nelle sue figure di contorno, con una menzione speciale per un Paul Dano magistrale (nelle vesti del giovane Brian Wilson) che illumina la scena con tutto il suo talento cristallino e che sbilancia un po’ gli equilibri rispetto al protagonista adulto interpretato da uno John Cusack sicuramente in parte, ma non così sopraffino da sopportarne il confronto. Al di là di queste sottigliezze questo piccolo gioiello è la dimostrazione di come nel cinema non sia la storia o il genere di riferimento a fare la differenza, bensì l’idea, il modo e la forma con cui si sceglie di raccontare qualcosa ed anche senza confezioni regalo extra lusso si possono ricevere sorprese inaspettate assai piacevoli e perché no, anche più gradite.