Cinque arresti nelle indagini per la cattura del boss latitante. Nella rete anche Vincenzo Artale, promotore dell'associazione contro pizzo e usura di Alcamo. Secondo l'accusa della Dda di Palermo, era favorito da Cosa nostra nelle forniture di calcestruzzo. "Uso di cemento depotenziato negli appalti"
Nuovo blitz antimafia nel trapanese contro presunti fiancheggiatori e colletti bianchi del boss Matteo Messina Denaro. E l’operazione coinvolge anche un imprenditore del calcestruzzo, Vincenzo Artale, noto per aver denunciato una richiesta di pizzo nel 2006 e promotore di un’associazione antiracket. I carabinieri della compagnia di Alcamo e del nucleo investigativo del comando provinciale di Trapani hanno eseguito cinque ordinanze di custodia cautelare in carcere nei confronti del padrino della famiglia mafiosa di Castellamare del Golfo e di altri quattro presunti affiliati, tra cui alcuni imprenditori. I cinque sono accusati di associazione a delinquere di tipo mafioso, estorsione aggravata, danneggiamento aggravato, fittizia intestazione aggravata, frode nelle pubbliche forniture e furto. In particolare, i pm contestano l’utilizzo di cemento depotenziato nelle attività edilizie.
Nella rete è caduto, ancora una volta, un simbolo dell’antimafia: Vincenzo Artale, 64 anni, che nel 2006 aveva denunciato di essere stato vittima del pizzo ed era stato promotore dell’associazione antiracket e antiusura di Alcamo. Non solo: a maggio era stato eletto nel collegio dei probiviri della stessa associazione: era lui, in pratica, che decideva chi fosse degno di far parte del fronte antiracket della zona. Ma, secondo quanto hanno accertato gli investigatori, avrebbe fatto affari con i boss della zona, vicini a Matteo Messina Denaro. Tra gli altri arrestati, Mariano Saracino, 69 anni, considerato il nuovo capo del clan di Castellammare del Golfo, Vito Turriciano, 70 anni, Vito Badalucco, 59 anni. Nell’operazione è stata sequestrata l’azienda “SP Carburanti s.r.l.”, con sede legale a Castellammare del Golfo, considerata fittiziamente intestata a prestanome, ma riconducibile alla locale famiglia mafiosa.
L’inchiesta, condotta dal Comando provinciale di Trapani, diretto dal colonnello Stefano Russo, ha infatti evidenziato che il clan capeggiato da Saracino “favoriva l’imprenditore antiracket”. L’indagine coordinata dalla Dda di Palermo ha anche svelato come alcuni imprenditori, con pressioni e intimidazioni, venivano costretti a rifornirsi di cemento dall’imprenditore, che poi si è aggiudicato le forniture più importanti. Diversi sono stati gli episodi di estorsione accertati, alcuni dei quali provati anche con la collaborazione delle vittime.
L’indagine è nata dopo una serie di attentati a imprenditori edili e del movimento terra. I carabinieri hanno scoperto che i danneggiamenti erano da ricondursi al contesto mafioso legato alla famiglia di Castellammare del Golfo, che fa parte del mandamento di Alcamo, e al cui vertice c’è Saracino, già condannato per associazione mafiosa e da sempre legato alla storica “famiglia” alcamese dei Melodia.