L’inchiesta per corruzione internazionale è quella che ha al centro la presunta bustarella suddivisa tra politici e intermediari nigeriani e manager e mediatori italiani ed europei, in cambio della concessione del giacimento petrolifero Opl-245 in Nigeria. La società nel registro degli indagati per la legge 231 sulla responsabilità amministrativa
Un bonus da 115 milioni di dollari che avrebbe girato a Eni a titolo di rimborso spese per l’ipotizzata tangente nell’affaire Nigeria. Per questo la società Royal Dutch Shell è indagata dalla Procura di Milano in base alla legge 231 sulla responsabilità amministrativa. L’inchiesta per corruzione internazionale è quella che ha al centro la presunta bustarella suddivisa tra politici e intermediari nigeriani e manager e mediatori italiani ed europei, in cambio della concessione del giacimento petrolifero Opl-245 in Nigeria.
I pm di Milano Fabio De Pasquale e Sergio Spadaro contestano il reato di corruzione internazionale anche, tra gli altri, all’attuale numero uno di Eni Claudio Descalzi, al suo predecessore Paolo Scaroni, al responsabile della Divisione esplorazioni, Roberto Casula e al lobbista di lungo corso Luigi Bisignani.
Lo scorso 17 febbraio, dopo che gli inquirenti milanesi hanno creato con la Procura Nazionale Antifrode dell’Olanda una squadra investigativa comune, sono stati perquisiti la sede dell’Aia del colosso anglo-olandese e l’abitazione dell’ex ministro nigeriano della giustizia Adoke Bello.
Il bonus, secondo l’ipotesi dei pm, sarebbe stato girato al gruppo italiano “a latere dell’operazione” con cui nel 2011 versò ufficialmente 1 miliardo e 90 milioni di dollari al governo nigeriano in cambio della licenza dello sfruttamento del blocco petrolifero posseduta da Malabu Oil and Gas, tra i cui soci ci sarebbe l’ex ministro del petrolio della Nigeria Daniel Etete. Secondo la ricostruzione della Procura, che nel 2014 ha ottenuto il sequestro in Svizzera di circa 110 milioni e dalle autorità inglesi il blocco di altri 83 milioni, tutta l’operazione di acquisto della concessione del campo di esplorazione petrolifera ha alla base una sorta di “anomalia genetica”: l’ex ministro Etete, infatti, alla fine degli anni ’90 si autoassegnò la concessione del giacimento a costo zero, tramite la società Malabu e attraverso prestanome.
Gli altri due soci erano un figlio del dittatore Sani Abacha e la moglie di un ex ministro. Ciò, inoltre, diede origine all’epoca anche ad una serie di cause tra Malabu, l’ex ministro e il governo nigeriano che voleva riprendersi l’utilizzo della concessione. Governo che riuscì a revocare quella concessione assegnata a Shell e poi nel 2006 la riassegnata nuovamente a Malabu. Nel 2011, sempre stando a quanto ricostruito dalle indagini, Eni, anche lei indagata in qualità di ente, ha acquistato dal governo nigeriano la concessione per 1 miliardo e 92 milioni di dollari, una cifra che, però, gli inquirenti contestano tutta come presunto prezzo della corruzione internazionale mentre Malabu sarebbe stata utilizzata, in sostanza, come società ‘schermo’ o ‘paravento’ per il giro di presunte tangenti.