Per l’Autorità europea per la sicurezza alimentare il batterio è responsabile dello sterminio delle piante. Pubblicati i risultati di uno studio firmato anche da due ricercatori indagati nell’inchiesta della Procura di Lecce
“Xylella fastidiosa è la responsabile della malattia che sta distruggendo gli alberi di ulivo nel sud Italia”. Quello che era dato per scontato, ma finora non aveva garanzia scientifica, ora è certezza. Lo dice l’Efsa, l’Autorità europea per la sicurezza alimentare, pubblicando i risultati di uno studio da questa finanziato e svolto da ricercatori del Cnr di Bari e del centro Basile Caramia di Locorotondo. Tra di loro, anche Donato Boscia e Maria Saponari, due dei dieci indagati nell’inchiesta della Procura di Lecce per diffusione colposa di una malattia delle piante, falso, deturpamento di bellezze naturali e violazione delle disposizioni in materia ambientale.
Dopo due anni di esperimenti, è stata trovata la chiave di volta della vicenda. Non era sicuro che fosse quel batterio la causa principale del deperimento delle piante, visto che sin dall’inizio si è parlato di “Codiro”, vale a dire di “complesso del disseccamento rapido dell’olivo”, frutto di concause, compresa l’azione dei funghi e quella del rodilegno giallo. Anche su questa incertezza si sono basati, a dicembre, il decreto di sequestro prima e l’ordinanza di convalida poi dei sigilli su tutti gli ulivi destinati all’abbattimento, in base alla decisione di esecuzione della Commissione europea e ai conseguenti piani del commissario straordinario Giuseppe Silletti.
Anche per questo la ricerca appena pubblicata è un tassello scientifico destinato a smuovere non di poco le acque chete da prima di Natale. Ad oggi, la Regione Puglia, che ha ripreso in mano dal 6 febbraio le redini della gestione della fitopatia, non ha ancora emanato le nuove linee guida che indichino agli agricoltori cosa fare sui campi per contenere la malattia.
Adesso, qualcosa cambia: “Questo studio – spiega Giuseppe Stancanelli, a capo dell’Unità salute di piante e animali dell’Efsa – dimostra che è il ceppo di Xylella fastidiosa trovato nel Salento a disseccare gli olivi. È un importante passo in avanti. I risultati di questo progetto riducono in modo significativo le incertezze che circondano i rischi connessi al ceppo Xylella fastidiosa CoDiRO per il territorio UE e aiuteranno nella pianificazione della ricerca futura. Esperimenti sul campo e di laboratorio successivi dovranno esplorare ulteriormente le risposte sull’olivo del Mediterraneo, con l’obiettivo di individuare varietà tolleranti o resistenti che possano essere coltivate dagli agricoltori nelle zone colpite”.
Sono state testate colture come olivo, uva, agrumi, mandorla, pesca, ciliegia e prugna, così come i lecci e le specie ornamentali dell’oleandro e della poligala dalle foglie di mirto. Queste ultime due “soccombono al ceppo pugliese del batterio, ma agrumi, vite e leccio sembrano essere resistenti”, dichiarano dall’Efsa.
I test di patogenicità sono stati di due tipi: in alcuni casi, il batterio è stato inoculato artificialmente nelle piante, in altri l’infezione è stata veicolata tramite l’insetto vettore, il Philaenus spumarius, molto diffuso in Puglia. Inoltre, è stata percorsa la doppia strada: esperimenti nelle serre, in ambiente protetto, e altri in aperta campagna, in particolare in un campo messo a disposizione da Aprol con una dozzina di cultivar diverse, nel Gallipolino, zona cuore della malattia. Sulle prime indagini, la Procura ha avanzato più di qualche dubbio, poiché in alcuni casi sono state svolte sotto tendoni bucati e dunque non isolati.
L’Efsa tira dritto: “Le piante di olivo inoculate mostrano sintomi severi – essiccazione e deperimento – simili a quelli osservati in campo. Tuttavia, non tutte le varietà di olivo hanno risposto allo stesso modo. Ad esempio, il batterio sembra richiedere più tempo a colonizzare, con una concentrazione di batteri più bassa, le cultivar Coratina, Leccino e Frantoio rispetto alla cultivar Cellina di Nardò, che è una delle più comuni della zona contaminata. I ricercatori dicono che più test su un numero maggiore di cultivar di olivo sono necessari per comprendere le diverse risposte”. Tutte le piante inoculate saranno tenute sotto osservazione per almeno una stagione vegetativa, mentre gli esperimenti sul campo saranno estesi per un massimo di dieci anni.