La vicenda sollevata a Bruxelles dal Movimento 5 Stelle. Nel mirino un decreto del 2011 che ha introdotto nel nostro paese la normativa comunitaria. Prevedendo però parametri per l’esercizio della professione più stringenti rispetto agli altri Paesi dell’Unione. Un successivo intervento legislativo del 2015, che avrebbe dovuto rimediare alle disparità di trattamento, è rimasto inapplicato. Perché mancherebbero i provvedimenti attuativi. L’eurodeputato Castaldo: “Ritardi clamorosi e inaccettabili”
Una “discriminazione al contrario”. Per colpa di un decreto legislativo del 2011 (governo Berlusconi) con cui l’Italia ha recepito la direttiva comunitaria sui “requisiti minimi comuni di formazione dei lavoratori marittimi” del 2008. Travisandone, però, secondo l’eurodeputato del Movimento 5 Stelle, Fabio Massimo Castaldo che ha sollevato il caso in un’interrogazione alla Commissione europea, i contenuti. Perché la disciplina introdotta dall’Italia prevede “parametri nettamente più esigenti rispetto a quelli fissati dalla normativa” Ue. Insomma, delle due l’una. “O siamo di fronte ad un errore involontario oppure ad una difformità introdotta in malafede dal legislatore nazionale – osserva Castaldo sentito da ilfattoquotidiano.it–. Ma nell’uno o nell’altro caso il risultato non cambia: ne è derivato un danno per una categoria di lavoratori che deve essere corretto il più presto possibile”.
MARE MOSSO – Ma cosa prevede la norma criticata dall’europarlamentare del M5S? Sia la direttiva Ue che il decreto legislativo che l’ha recepita in Italia traggono le mosse dalla Convenzione Stcw (Standards of Training, Certification and Watchkeeping for Seafarers) sugli standard di addestramento e abilitazione per i marittimi. “La normativa comunitaria identifica i criteri per la concessione del certificato di autorizzazione a svolgere la professione” rinviando ad un’ulteriore direttiva del 2005 per il “riconoscimento delle qualifiche professionali”. Sulle quali, ecco il punto, in Italia si è consumato un vero e proprio pasticcio. Due decreti adottati tra il 2005 e il 2007, ricorda infatti Castaldo nella sua interrogazione, hanno cancellato “i titoli professionali del Codice della Navigazione” individuando “due figure professionali: marittimo del traffico e marittimo del diporto”. Ed è qui che cominciano i problemi. Perché il certificato del diporto – non riconosciuto dall’Organizzazione Marittima Internazionale – non ha alcun valore all’estero.
NORME INADEGUATE – Ma non è tutto. Anche il decreto legislativo (numero 71) del 2015, che dovrebbe abolire quello del 2011 all’origine del pasticcio ripristinando in Italia “la situazione di conformità alla normativa internazionale e comunitaria”, sottolinea ancora l’interrogazione, è rimasto inapplicato perché “mancano i relativi provvedimenti attuativi”. E adesso? “L’Italia deve adeguarsi alla normativa europea e internazionale e rimediare alla discriminazione che penalizza i lavoratori marittimi italiani rispetto a quelli degli altri Stati europei e non – avverte Castaldo –. I clamorosi ritardi registrati nell’adeguamento sono inammissibili e stanno lasciando i lavoratori del settore nell’incertezza totale. Molti di loro non vedono riconosciuta la propria esperienza e competenza”. Una vicenda sulla quale dovrà ora esprimersi la Commissione Ue. Per chiarire, come chiede Castaldo, se la situazione verificatasi in Italia “costituisca una violazione della normativa europea realizzando, in particolare, una discriminazione al contrario”.
Twitter: @Antonio_Pitoni