E’ uno dei “simboli più rinomati delle produzioni agroalimentari italiane”. Che “nell’immaginario del pubblico mondiale” si è guadagnato “una reputazione ed una emotività ineguagliabili”. Non è un caso che nel commercio di olio d’oliva l’Italia detenga “una posizione di rilevanza” internazionale. Un bene prezioso al quale, però, il nostro Paese non assicura adeguata tutela. Come evidenzia la relazione della commissione parlamentare d’inchiesta sui fenomeni della contraffazione, presieduta da Mario Catania di Scelta civica. Un documento di strettissima attualità specialmente dopo il recente via libera dell’Europarlamento all’import senza dazi nell’area Ue di 35 mila tonnellate di olio tunisino per il 2016 e il 2017 .
FRODE EXTRAVERGINE – L’extravergine è un prodotto strategico per l’economia nazionale. “Ma le frodi e le sofisticazioni mettono a rischio 250 milioni di piante, 50 milioni di giornate lavorative, un fatturato di oltre 2 miliardi di euro, 43 oli italiani a denominazione di origine riconosciuti dall’Unione europea”, osservava, non più tardi del 26 marzo scorso, il Nucleo anti sofisticazione (Nas) dei Carabinieri. Numeri citati nella relazione per sottolineare “come ormai gli illeciti nel settore oleario siano compiuti con professionalità sistematica e in modo reiterato”. L’elenco delle condotte fraudolente, del resto, è lungo. Si va dalle alterazioni (“modifiche della composizione dei caratteri organolettici degli alimenti”) alle adulterazioni (mutazione della qualità “attraverso l’aggiunta o la sottrazione di alcuni componenti del prodotto”). Dalle sofisticazioni (“aggiunta di sostanze estranee rispetto alla naturale composizione degli alimenti”) alle falsificazioni (“vere e proprie sostituzioni di elementi con altri”). Illeciti penali ai quali si aggiungono anche contraffazioni, alterazioni delle indicazioni geografiche o delle denominazioni di origine dei prodotti alimentari: tutte condotte che configurano violazioni dei diritti di proprietà industriale. Ma non basta. Alla lista delle pratiche fraudolente si aggiunge anche l’italian sounding. Si tratta della “produzione e commercializzazione di alimenti contenenti una falsa evocazione dell’italianità del prodotto”, ma “senza contraffazione dei segni distintivi”, tale da “far presumere al consumatore un’origine italiana del prodotto non corrispondente alla realtà”.
TAROCCO ITALIANO – Per non parlare del cosiddetto olio di carta, vale a dire la “produzione fittizia di olio extravergine supportata da false fatturazioni per prodotto inesistente o anche delle rese di molitura (la prima fase dell’estrazione, ndr) superiori a quelle effettive”. Un sistema attraverso il quale si introducono in Italia “oli d’oliva stranieri che sono in tal modo inseriti tra le produzioni extravergini italiane ed immessi in commercio come oli di origine italiana”. Altra pratica illecita molto frequente è quella legata all’uso di “olio deodorato”, considerata da esponenti delle forze dell’ordine e dagli stessi produttori, “la tecnica più sofisticata di frode utilizzata nel settore delle produzioni olearie”. Tecnica con la quale, in pratica, un olio d’oliva avente caratteristiche qualitative “non conformi a quelle previste dalla legge per l’olio extravergine” viene “reso tale tramite operazioni di deodorazione”, consistenti “nell’arricchimento e nella manipolazione di oli vergini d’oliva”, messi poi in commercio come extravergini. Un trattamento utilizzato per commercializzare “oli di mediocre qualità” a “prezzi concorrenziali”. Poi c’è il nodo, sollevato nel corso delle audizioni effettuate dalla commissione dalla Procura di Bari, della “incompatibilità” tra la pratica della “miscelazione” e il “procedimento meccanico”, l’unico secondo la disciplina comunitaria consentito nella “produzione dell’olio extravergine”. Secondo i magistrati del capoluogo pugliese “la vendita come olio extravergine di oliva di un olio frutto di miscelazione configura un comportamento di tipo ingannevole da parte del produttore ai danni del consumatore” che, nella convinzione di comprare un extravergine puro, “acquista viceversa un prodotto” diverso “originato dalla combinazione di oli di categorie e qualità diverse, artificiosamente miscelati in modo da ottenere un prodotto rientrante solo nei meri parametri chimici dell’extravergine”.
CONTROLLI E SANZIONI – Ma come difendere uno degli orgogli del made in Italy dai sempre più diffusi tentativi di imitazione e contraffazione? Stando alle conclusioni della commissione d’inchiesta, uno degli interventi più urgenti suggeriti riguarda il sistema dei controlli. Che spesso “risultano inefficaci” per le “difficoltà di condurre analisi in grado di evidenziare le frodi”. Controlli che, si legge nella relazione, “devono essere intensificati”. Attraverso, innanzitutto, il monitoraggio di “tutte le fasi della lavorazione”, a partire da quella “dell’acquisizione delle partite di oli dall’estero”. Una “prassi”, come dimostrato dall’esperienza, che riguarda principalmente l’importazione “di partite di olio a basso costo da Paesi comunitari (Spagna e Grecia) o extraeuropei (Tunisia), da destinare, attraverso tecniche chimiche di laboratorio, quali la deodorazione, alla trasformazione fraudolenta in partite di olio extravergine italiano”. Si tratta, secondo la commissione, di “un approccio sistematico ed organizzato di aziende che operano illecitamente e su vasta scala”. Anche l’attuale assetto normativo penale “non appare soddisfacente”. Così come quello delle sanzioni, “non in linea con l’effettiva offensività di tali illeciti rispetto alla realtà economica compromessa” e “ai danni causati ai consumatori”. Oltre alle pene detentive e pecuniarie, si legge nella relazione, sarebbero utili “anche sanzioni interdittive dell’esercizio dell’attività imprenditoriale svolta fraudolentemente”. Come sarebbe opportuno, inoltre, “un intervento normativo chiarificatore”, auspica la commissione, che, sulla scia dei rilievi della Procura di Bari, “sancisca espressamente il divieto di miscelazione all’interno dei processi di produzione dell’olio extravergine”. Quanto alla “denominazione d’origine” e della “provenienza territoriale nazionale”, si pone un problema di “effettiva e puntuale applicazione delle norme” già previste dall’ordinamento. Come dire, le norme ci sono, basterebbe applicarle.
Twitter: @Antonio_Pitoni