Meno tasse sui premi di risultato. Per il 2016 torna una fiscalità agevolata, pari al 10%, per i bonus che l’impresa vorrà concedere ai dipendenti nel caso siano raggiunti determinati obiettivi di produzione. Con un decreto dei ministeri del Lavoro e dell’Economia, il governo attua una disposizione già prevista nell’ultima legge di stabilità. Ma nel fronte sindacale non mancano le perplessità. “Siamo d’accordo con questo provvedimento – commenta Michela Spera, segretaria nazionale Fiom Cgil – Ma la platea dei beneficiari è limitata ai lavoratori delle aziende che fanno contrattazione aziendale. Restano esclusi i dipendenti più deboli, che ne avrebbero più bisogno: si tratta del personale che lavora nelle imprese piccole e medie, nelle aziende in crisi o in quelle dove il sindacato è meno presente”.
Nel dettaglio, il decreto prevede un’imposta forfetaria del 10% per i premi di risultato e per le somme erogate sotto forma di partecipazione agli utili dell’impresa. Questa misura era già stata adottata fino al 2014, ma aveva subito un anno di stop nel 2015. La detassazione riguarderà gli importi fino a 2mila euro lordi, un tetto abbassato rispetto ai 3mila euro del 2014. Questi provvedimenti sono riservati ai dipendenti che percepiscano un reddito annuo sotto i 50mila euro: rispetto agli anni scorsi, questo limite è stato alzato in modo da includere anche quadri e impiegati tra i beneficiari. Il tetto di 2mila euro per la detassazione sale a 2.500 euro nei casi di aziende che scelgano di mettere in pratica la partecipazione dei lavoratori all’organizzazione dell’impresa, in modalità riconosciute dai contratti collettivi aziendali e territoriali. Come stabilito dalla legge di stabilità, l’impresa può concedere ai lavoratori voucher esenti da tasse, se previsto da contratti di secondo livello, per pagare servizi scolastici e assistenza sociale e sanitaria. In alternativa, il dipendente può chiedere di sostituire il premio di produttività, in tutto o in parte, con un servizio di welfare.
“Di questa detassazione beneficerà solo una parte ristretta dei lavoratori – sottolinea Spera – Questa possibilità dovrebbe essere estesa a tutti, anche alle aziende che non esercitano la contrattazione aziendale”. Ma come fare nel concreto? “Da anni chiediamo che il governo scelga di detassare anche gli aumenti nel contratto nazionale di lavoro, in modo che possano goderne tutti i lavoratori. Ma l’esecutivo insiste a restringere il provvedimento ai premi di risultato”. Secondo i dati Istat, in effetti, in Italia solo il 21% delle imprese adotta la contrattazione di secondo livello. Di conseguenza, quasi otto aziende su dieci, allo stato attuale, non dovrebbero beneficiare della detassazione. Ma la mossa del governo si muove proprio nel senso di imprimere una spinta alla contrattazione decentrata.
Il premier Matteo Renzi non ne ha mai fatto mistero e ha sempre sollecitato sindacati e Confindustria a trovare un accordo per riformare la contrattazione: in caso di mancata intesa, il governo è pronto a intervenire, introducendo un salario minimo legale e imponendo una stretta sulla rappresentatività sindacale.