Sappiamo molto di ciò che pensano gli europei dei rifugiati. Ma pochi fino ad ora hanno cercato di raccogliere in modo sistematico e raccontare le opinioni dei rifugiati.
Il 69% degli italiani non ha dubbi quando risponde al sondaggio di marzo di Eurobarometro: dice che L’Europa dovrebbe sviluppare una politica comune per affrontare la crisi dei rifugiati. E non tentenna quel 46% di connazionali che dichiara che l’Italia non dovrebbe aiutare i rifugiati. Non esitano a esprimere un giudizio simile molti cittadini dei Paesi dell’Est Europa. Ne lo fanno gli spagnoli e i greci nelle loro dichiarazioni diametralmente opposte: per l’85% ritengono che il loro Paese abbia il dovere di aiutare i rifugiati.
Eppure a cinque anni dall’inizio del conflitto in Siria, che ha costretto oltre 4,6 milioni di persone a lasciare il Paese, di cosa pensano i rifugiati sappiamo davvero poco.
Quindi ben venga la ricerca pubblicata a marzo da Ipsos Mena, che ha raccolto ed elaborato le risposte di oltre 2200 famiglie di siriani in Libano e Giordania per raccontarci la vita quotidiana dei rifugiati, le loro priorità e aspirazioni. La ricerca prende a campione la diaspora Siriana in Libano e Giordania perché è in questi due Paesi che si sono diretti oltre due terzi dei siriani in fuga. Un dato estremamente significativo visto che nel 2016 una persona su 5 in Libano, e una su 7 in Giordania è un rifugiato siriano.
Prevedibilmente un flusso tanto ingente di persone ha colto i due Paesi impreparati a livello sociale ed economico e ha, di conseguenza, avuto un impatto notevole sulla loro abilità di offrire aiuto. La ricerca di Ipsos infatti apre una finestra sulle aspettative e le difficoltà di chi ha lasciato una situazione drammatica solo per trovare nuovi, inaspettati problemi.
In una disperata aspirazione alla normalità, la diaspora siriana cerca in tutti i tutti modi l’integrazione, il lavoro, lo spirito di comunità nel Paese che li ospita. Eppure anche gli aspetti più basilari dell’esistenza, quelli necessari per uno standard di vita accettabile come poter lavorare o andare a scuola, far parte di una comunità e sentirsi al sicuro – sembrano miraggi irraggiungibili.
Il 40% delle famiglie siriane in Giordania e il 20% di quelle residenti in Libano non ha nessuna fonte di reddito e dipende completamente da donazioni e aiuti. In generale 9 famiglie su 10 ricevono una qualche forma di aiuto finanziario e spendono circa il 75% del reddito mensile in cibo e affitto, visto che il 94% dei rifugiati in Libano e Giordania affitta un alloggio da privati.
Solo il 23% dei rifugiati ha trovato un lavoro e anche questa minoranza fortunata, indipendentemente da qualifiche ed esperienze precedenti deve accontentarsi di lavori saltuari e mal retribuiti. Quattro su dieci lavorano a cottimo o a giornata.
Prevedibilmente sono i più giovani a risentire maggiormente della precarietà inevitabile nello status di rifugiato. Infatti anche se per per il 79% dei rifugiati Siriani l’istruzione è una priorità assoluta, solo la metà dei giovani in eta scolare ha la possibilità di andare a scuola. Sono circa 400.000 i bambini cui viene negato il diritto all’istruzione. Una generazione persa, insomma.
Alla frustrazione di aver perso qualsiasi parvenza di stabilità economica e professionale, per quasi tutti si aggiunge l’isolamento sociale. Anche una passeggiata al parco o una visita a un attrazione pubblica sembrano traguardi impossibili e solo un rifugiato su 10 dichiara di avere la possibilità di prendere parte in attività sociali e ricreative.
La ricerca di Ipsos rivela che l’intrinseca mancanza di stabilità e le difficoltà quotidiane rafforzano la determinazione dei rifugiati di mantenere un filo diretto con il loro Paese. La diaspora siriana cresce in modo organico ed è ormai un fitto network transnazionale che aiuta i rifugiati a tenersi aggiornati sulla situazione a casa, mantenere i contatti con familiari e conoscenti rimasti in Siria e ricreare una parvenza di spirito di comunità, anche se a distanza.
Nonostante il trauma del conflitto, le enormi difficoltà della quotidianità e l’isolamento nei Paesi che li ospitano, la maggior parte dei siriani non abbandona la speranza di rimettere insieme i pezzi della vita di prima. Un’ aspirazione che però sembra irraggiungibile in Libano e Giordania. E forse anche per questo il rientro in Siria è visto da molti come l’unica opportunità di offrire ai figli una vita normale, aiutarli a riappropriarsi del loro futuro. L’ 85% dei rifugiati, non ha dubbi: tornerà in Siria entro sei mesi dalla fine del conflitto.
Le priorità e le aspirazioni dei siriani non sorprendono, perché in fondo sono molto simili a quelle che abbiamo tutti noi: una vita tranquilla, stabilità per le loro famiglie, una società fondata su libertà e diritti, e il poter tornare a casa. Presto. Appena finisce la guerra.