Ad ogni docente selezionato dal Miur, circa un centinaio in tutto, vengono assegnati al massimo 10 pubblicazioni all'anno. La professoressa Vassallo che ha ricoperto l'incarico: “Che messaggio lascia passare il Ministero? Che la valutazione scientifica è un’attività marginale, da svolgere nel tempo libero o con superficialità. E che rischia di essere scadente"
Trecento euro all’anno, se va bene. Ovviamente lordi. Tanto vale secondo l’Anvur (l’Agenzia nazionale di valutazione, dipendente dal ministero dell’Istruzione) il lavoro degli esperti chiamati a giudicare il livello delle facoltà italiane. L’eccellenza dell’eccellenza del sistema universitario italiano. Pagata, però, come manovalanza qualsiasi. “Questa tariffa è la misura di quanto viene considerato il lavoro scientifico”, spiega la professoressa Nicla Vassallo. Ordinaria di filosofia teoretica all’Università di Genova, negli scorsi anni ha partecipato alle attività dell’Anvur. Adesso non lo farà più: “E non è certo per una questione di soldi: i professori universitari per fortuna non hanno bisogno di arrotondare con lavori extra per arrivare a fine mese. Ma certe cifre sono un’offesa e fanno capire come avviene la valutazione in Italia”.
Parliamo della cosiddetta Vqr, la Valutazione della Qualità della Ricerca, introdotta in Italia negli anni Duemila. L’Anvur nomina un gruppo di esperti, centinaia in tutta Italia, ripartiti per sedici aree disciplinari (i Gev: Gruppi di esperti della valutazione), a cui spetta il compito di esaminare l’operato dei vari dipartimenti delle università. Il gotha della ricerca italiana, insomma: i migliori fra i professori italiani, che devono giudicare le pubblicazioni degli altri professori. Un lavoro delicato e fondamentale, visto che da questi giudizi dipendono vari meccanismi di funzionamento delle università, tra cui anche l’assegnazione della parte variabile dei fondi statali agli atenei. Far parte della lista dei valutatori è un “onore”. Fa curriculum, ma solo quello: per ogni singolo prodotto da valutare l’Anvur prevede una retribuzione fissa di 30 euro. Che si tratti di un articolo di qualche pagina, o magari di un saggio più esteso o di un volume vero e proprio. Ad ogni valutatore possono essere assegnati fino ad un massimo di dieci pubblicazioni. Così si arriva ai fatidici trecento euro lordi: il valore di ore e ore di importante valutazione scientifica.
Di fronte a queste tariffe la professoressa Vassallo ha deciso di lasciar cadere nel vuoto l’invito a far parte del gruppo di esperti per la nuova Vqr 2011/2014 (che si concluderà a fine 2016). E di spiegare pubblicamente le ragioni della sua scelta: “Magari qualcuno penserà che sono una persona venale. Io nella valutazione credo molto e sarei disposta a farlo anche gratuitamente, ma il punto è un altro: quei 30 euro lordi sono il prezzo che l’Anvur dà alla valutazione. Una valutazione che a certe cifre rischia di essere scadente”. Secondo la professoressa, infatti, la retribuzione rischia di condizionare anche i risultati: “Che messaggio lascia passare il Ministero? Che la valutazione scientifica è un’attività marginale, da svolgere nel tempo libero o con superficialità, visto che in pochi sono disposti a sacrificare ore del proprio lavoro in cambio di nulla”. Invece una revisione seria porta via molto tempo: “A meno che non ci si limiti a dare una lettura sommaria a poche righe, o addirittura a fermarsi a titolo, autore e frontespizio. Cosa che con questa impostazione secondo me capita spesso”.
La conclusione della professoressa Vassallo è amara: “Avevo accettato l’incarico perché credevo nel progetto, che avrebbe dovuto portare il merito nelle facoltà italiane, ma sono delusa”. “L’Anvur e il Ministero dovrebbero dire qual è il senso di questi 30 euro: se è il valore assegnato alla valutazione, meglio chiudere tutto. Se invece si tratta solo di un compenso simbolico, allora meglio eliminarlo e destinare queste risorse alle università. Per la valutazione non cambierà nulla, ma almeno si farà qualcosa per la ricerca“.