“Dati inesatti, fesserie e mezze bugie”. Al convegno ‘Oltre le Trivelle, un mare di risorse’ organizzato da Pippo Civati e Mario Catania al Tempio di Adriano a Roma gli ambientalisti e giuristi smontano ad uno ad uno gli argomenti del comitato pro astensione per il referendum del 17 aprile sulle trivelle. Tra di essi c’è il costituzionalista a capo del ‘comitato No Triv’ ed estensore dei quesiti referendari, Enzo Di Salvatore. “Questo referendum riguarda eccome le trivelle, in Sicilia e in Abruzzo le multinazionali petrolifere apriranno nuovi pozzi in relazione alle concessioni, questo significa perforare” ci spiega il giurista. Questi giacimenti rappresentano l’1-2% del fabbisogno energetico nazionale, ‘percentuali ridicole’ secondo i professori. “Dal comitato del No sparano cifre paradossali, si parla di 130 mila posti di lavoro, forse considerano anche chi fa il caffè agli autogrill, dai dati risultano 34 mila persone impiegate nel settore nel suo complesso e il referendum intaccherà solo una minima parte di esse, 5 mila persone da calcolare nel tempo, molte concessioni scadranno nel 2030” afferma Dante Caserta, vicepresidente del Wwf. “Dal 18 aprile, se vince il Sì, non si perderà nemmeno un posto di lavoro” aggiunge lapidario. “Sarebbe stato più utile se Renzi avesse accorpato il referendum alle elezioni amministrative, invece spenderemo 300 milioni di euro, cifra pari al guadagno annuale dello Stato con le royalties pagate dalle multinazionali per i i giacimenti di gas e petrolio, quindi abbiamo l’ammontare del 2016 già perso” ironizza Pippo Civati, segretario di Possibile. “Basta a concessioni sine die, senza tempo, rischiamo anche un’infrazione europea, dovremmo pensare ad una strada alternativa, ad una riconversione per un sistema sostenibile verso le fonti rinnovabili, i lavoratori troverebbero un nuovo sbocco e si creerebbero tanti altri posti di lavoro ” prosegue l’ex deputato dem. Poi c’è il caso Guidi che si intreccia con l’esito del referendum. “Un governo è sempre sensibile alle lobby, ma questa vicenda mostra un filo rosso con le industrie petrolifere” sostiene Renato Narciso di Fare Ambiente