I promotori rilanciano il voto del 17 aprile e il presidente consiglio regionale Basilicata dice: "Serve equilibrio tra Stato e petrolieri". Greenpeace: "Sudditanza della politica agli interessi dell'industria". Nell'intercettazione tra il ministro e il suo fidanzato l'oggetto del quarto quesito referendario, poi non ammesso perché recepito dal Governo nella Legge di Stabilità 2016
“Abbiamo bisogno di un sistema che garantisca equilibrio tra poteri pubblici e compagnie petrolifere e tra diversi poteri pubblici”. Le ultime novità sull’inchiesta della Dda di Potenza che ha portato all’arresto di sei tra funzionari e dipendenti del Centro Oli Eni di Viggiano e che vede tra gli indagati il compagno del ministro (dimissionario) dello Sviluppo Economico Federica Guidi rafforzano il convincimento di Piero Lacorazza (Pd), presidente del consiglio regionale proprio della Basilicata. “La questione degli idrocarburi nel nostro Paese non può essere affrontata con leggi, leggine, commi ed emendamenti, ma ci vuole una pianificazione” spiega a ilfattoquotidiano.it. Nessuna levata di scudi tout court contro gli industriali “ma trasparenza”. Non a caso la terra al centro dell’ennesima inchiesta è anche promotrice del referendum sulle trivelle indetto per il 17 aprile. Cosa c’entra la consultazione? “Molto, dato che l’oggetto della norma di cui si parla nell’intercettazione tra il ministro e il suo fidanzato è inserita nella legge di Stabilità 2015, ed è lo stesso del quarto quesito non ammesso al referendum perché recepito dall’ultima legge di Stabilità” dice a ilfattoquotidiano.it il costituzionalista Enzo Di Salvatore, del coordinamento nazionale No Triv.
“Il caso non si chiude affatto con le dimissioni”
A due settimane dal referendum, le dimissioni del ministro sembrano una scelta (ancora più) obbligata. Forse Renzi ha fatto pressing perché la consultazione rischiava di diventare anti-governo più che anti-trivelle? “Non so se Renzi abbia invitato il ministro a prendere questa decisione per evitare un voto politico, ma credo che il caso non si chiuda affatto con le dimissioni” spiega Lacorazza. Come non è chiuso il nodo astensione. “Al di là delle vicende giudiziarie che saranno accertate dalla magistratura – spiega Lacorazza – secondo me quanto accaduto mette ancora più in evidenza l’importanza del referendum”. Una consultazione osteggiata in tutti i modi dal governo: “Il premier Renzi avrebbe dovuto mettere gli italiani nelle condizioni di arrivare ancora più informati sul quesito e su cosa accade in Italia, invece di invitare all’astensione”. Per Lacorazza “è stato il premier a trasformare il referendum in una questione politica”. Ed ora? “Se si raggiunge il quorum (e vince il sì) la vittoria sarà palese – dice il presidente della Regione promotrice – ma Renzi rischia anche se andranno a votare molti italiani”.
Greenpeace: “Sudditanza della politica agli interessi dell’industria”
Oggi il governo è in una posizione scomoda. “Oltre alla evidente assenza di controlli ambientali seri e indipendenti riemerge ancora una volta un atteggiamento di sudditanza della politica agli interessi dell’industria fossile” dice il responsabile della campagna Energia e Clima di Greenpeace Andrea Boraschi. Che si domanda: “Forse questo atteggiamento spiega anche la condotta del nostro primo ministro, attivamente impegnato a boicottare un referendum violando la legge?”. Per Boraschi le ultime notizie, che giungono dall’Italia e dall’estero rivelano, ancora una volta, come “il settore petrolifero sia fonte di inquinamento, e non solo ambientale”. Emerge un quadro preoccupante “dalle inchieste sullo smaltimento illegale di rifiuti Eni in Val d’Agri al caso Unaoil nel Principato di Monaco – ricorda – dalle intercettazioni che coinvolgono il ministro Guidi nel progetto Tempa Rossa alle indagini per smaltimento di rifiuti pericolosi della piattaforma Vega di Edison”. Per Greenpeace è più che mai chiaro che il referendum è l’occasione per aprire un dibattito sul futuro energetico del Paese.
Il quarto quesito, l’emendamento per Tempa Rossa e gli interessi primari
L’emendamento importante per il progetto Tempa Rossa estendeva la semplificazione dell’autorizzazione unica alle opere necessarie per trasporto, stoccaggio, trasferimento di idrocarburi in raffineria e altre ancora. Questo nella legge di Stabilità 2015. Poi c’è stata la mobilitazione per il referendum e il quarto quesito chiedeva proprio di modificare quella parte, reintroducendo il ruolo di controllo degli enti locali. “Con l’obiettivo di svuotare il referendum – spiega Di Salvatore – il governo Renzi ha recepito il quesito nella legge di Stabilità 2016, che cambia le cose”. Imponendo cioè che per quelle opere le autorizzazioni fossero rilasciate d’intesa con le Regioni interessate. “Spetta alla magistratura valutare eventuali responsabilità, ma l’impressione che si ricava da questa vicenda – conclude Di Salvatore – è che gli argomenti del fabbisogno nazionale energetico e dei posti di lavoro siano in realtà secondari rispetto agli interessi economici. Proprio per questo è necessario votare per il sì al referendum sulle trivelle e cambiare leggi che oggi non tutelano né i cittadini, né il nostro Paese”.