Dal 7 aprile è previsto l’inizio della perforazione del cratere Chicxulub per raccogliere dati che per la prima volta in modo sistematico permettano di ricostruire la dinamica e gli effetti dell'impatto del corpo celeste che 66 milioni di anni sulla Terra
Anche i geologi tornano sul luogo del delitto. In questo caso si tratta di uno dei crateri più famosi in assoluto quello di Chicxulub, nel Golfo del Messico. Dal 7 aprile è previsto l’inizio della perforazione del cratere per raccogliere dati che per la prima volta in modo sistematico permettano di ricostruire la dinamica e gli effetti dell’impatto dell’asteroide che 66 milioni di anni fa cancellò i dinosauri dalla Terra.
Il progetto, finanziato con 10 milioni di dollari dal Consorzio europeo per la perforazione oceanica (Ecord), è presentato sul sito della rivista Nature. Coordinato dallo Chicxulub Scientific Drilling Project (Csdp), il consorzio internazionale di cui fanno parte Università Autonoma di Città del Messico, Imperial College di Londra e Università del Texas, prevede di lavorare giorno e notte, per due mesi, al largo delle coste messicane per perforare il fondale fino alla profondità di 1.500 metri.
Per la perforazione si prevede di utilizzare un’imbarcazione ancorata a tre enormi pilastri sistemati sul fondo dell’oceano, che si trasformerà in una piattaforma di perforazione temporanea. Per la prima volta si tenterà di esplorare l’anello di detriti che si trova sul fondo del cratere, una struttura simile a quella dei crateri prodotti dall’impatto degli asteroidi sulla Luna e su Marte.
Le rocce che i ricercatori preleveranno grazie alla perforazione permetteranno di rispondere a molte domande aperte e a confermare o meno quello che oggi prevedono i modelli teorici di quell’impatto terribile. “Tutto sarebbe accaduto in pochi devastanti minuti”, osserva Joanna Morgan, dell’Imperial College di Londra.
Per esempio i nuovi dati permetteranno di stabilire se l’asteroide, del diametro di circa 14 chilometri, abbia perforato la superficie fino a 20-30 chilometri di profondità, facendo fondere le rocce e scagliandole in aria fino all’altezza di 10 chilometri. Questo getto sarebbe poi ricaduto a terra formando l’anello di detriti.