La questione fu presa in carico direttamente dal presidente del consiglio per mano del sottosegretario Luca Lotti. Ma anche il ministro delle Riforme, Maria Elena Boschi, ha ricevuto più volte nel suo ufficio gli emissari delle due compagnie straniere
Per l’Italia il vantaggio è nei fatti inesistente. Il vero interesse dell’emendamento più caldo dell’era Renzi avrebbe aiutato soltanto Shell e Total – e nei fatti è ancora così – a raggiungere il seguente scopo: esportare il petrolio lucano. Il modello iniziale era la Tap che collega l’Azeirbaigian a Melendugno, l’autostrada del gas che approderà in Puglia, fortemente appoggiata dal premier Matteo Renzi e dal suo sottosegretario Luca Lotti. Era questa, all’inizio, la richiesta che le compagnie petrolifere Shell e Total rivolgevano al governo, inviando comunicazioni ufficiali che nel loro senso suonavano grosso modo così: “Se siete riusciti a farlo per le compagnie del gas, allora potete farlo per noi questa volta”.
Il cuore della vicenda, anche dal punto di vista investigativo, ruota intorno a un interrogativo: perché si voleva consentire al governo di sbloccare, superando nei fatti l’opposizione delle amministrazioni locali, il passaggio del petrolio dalla Basilicata a Taranto? Qual era il vero scopo? L’obiettivo delle compagnie era uno soltanto: esportare il petrolio estratto in Lucania. Ma per far questo non era soltanto necessario stoccare il greggio nel capoluogo jonico. Era necessario qualcosa in più: prolungare il porto di Taranto, la sua banchina, per consentire alle petroliere di potersi rifornire di greggio. Era questa la vera partita in gioco. Il Fatto Quotidiano ha incrociato le testimonianze di chi, attraversando le stanze dei bottoni di Palazzo Chigi, ha provveduto a realizzare il sogno di Shell e Total. Nei giorni scorsi Renzi ha assicurato: l’emendamento che, per gli interessi che coinvolgevano il suo compagno Gianluca Gemelli, ha portato alle dimissioni l’ex ministra Guidi, non fu una “marchetta”. Poi ha sostenuto che fu scritto dal senatore Pier Paolo Baretta. A scriverlo, invece, fu proprio il suo ufficio legislativo e, per la precisione, lo staff dell’ex vigilessa Antonella Manzione. E non nacque per una mera iniziativa del governo.
Al contrario, nei mesi precedenti, Renzi e Lotti, iniziarono a sentire la pressione della diplomazia internazionale: telefonate, email, che con l’eleganza del linguaggio diplomatico, mettevano sul tavolo del premier il problema dei problemi: dobbiamo esportare il petrolio lucano. Il messaggio è chiaro. Per esportarlo, bisogna rimuovere l’avversione delle comunità locali che, per la precisione, sono Taranto e la Regione Puglia ormai destinata al futuro presidente Michele Emiliano. Lo schema è quello classico: prima si muove la diplomazia, poi i rappresentanti delle compagnie, in una pressione lobbistica alla quale Renzi non può e, soprattutto, non vuole opporre alcuna resistenza. “La questione – racconta la nostra fonte che chiede l’anonimato – fu presa in carico direttamente da Renzi, per mano di Lotti, e dello staff legislativo della dottoressa Manzione”.
La stesura dell’emendamento, insomma, fu affidata a uomini di fiducia del premier e non, come ha lasciato intendere Renzi, al senatore Baretta. E il problema, come abbiamo detto, è allungare la banchina del porto di Taranto per consentire l’approdo delle petroliere destinate all’esportazione. L’emendamento può apparire in teoria una norma di carattere generale, in realtà è cucito su misura per le esigenze di Shell e Total, che, dopo gli interventi diplomatici, iniziano a frequentare gli uffici di Palazzo Chigi. Prendendo visione, di volta in volta, dei passaggi relativi alla stesura della norma. E non solo. Tra l’ufficio del Mise guidato dal ministro Guidi e lo staff allestito da Palazzo Chigi, tra gli esperti della Boschi e i rappresentanti delle compagnie petrolifere, intercorrono molte email, che lasciano trasparire una costante preoccupazione di Shell e Total. Una preoccupazione che in quei giorni Renzi non può sopportare: “Le compagnie temevano che le due parrocchie, ovvero gli staff dei due ministeri, non si mettessero d’accordo come avrebbero dovuto”, continua la nostra fonte.
Anche lo staff del ministro Maria Elena Boschi – che, ricordiamo, ha dichiarato di non saper nulla degli affari di Gemelli e del suo rapporto con la Guidi – partecipa, prendendone visione nella sua continua evoluzione, alla stesura dell’emendamento che esautorerà le autonomie locali pugliesi e tarantine dalla questione esportazione. La stessa Boschi, spiega la nostra fonte, riceverà più volte nei suoi uffici i rappresentanti di Shell e Total. Il vero raccordo, però, è quello tra Lotti e Manzione, che devono tradurre in norma i desiderata delle due compagnie. Questa volta, però, non sono e compagnie petrolifere – come spesso accade – a redarre la bozza di norma che serve ai loro scopi. No, è proprio il premier che ha a cuore la realizzazione del progetto che interessa a Shell e Total e che, in realtà, non comporta alcun vantaggio per l’Italia, visto che non coinvolge l’Eni, non serve al consumo interno di greggio, bensì soltanto all’esportazione.
Il vero problema, però, Renzi ce l’ha all’interno del suo stesso partito. L’idea del premier mette in moto una faida, all’interno del Pd, che si spacca in tre fazioni. Da un lato il governatore lucano Marcello Pittella, dall’altro Emiliano, infine la corazzata Renzi-Lotti-Boschi. Dinanzi alle compagnie petrolifere e alla diplomazia internazionale va in scena un vero disastro politico. E Renzi deve dare una prova di forza. Deve piegare Pittella e soprattutto Emiliano. Lo staff della Boschi prende in carico la questione. Bisogna assolutamente inserire l’emendamento, che ha già saltato l’occasione del decreto Sblocca Italia, nella legge di stabilità. E così accade. Per la gioia del compagno della Guidi che, sfruttando il nome del ministro, nel frattempo, riesce a ingraziarsi la Total e a incassare un subappalto, nella Lucania della Tempa Rossa, da ben 2,5 milioni di euro.
Da il Fatto Quotidiano di domenica 3 aprile 2016