Mancano due settimane al referendum e chi è favorevole alle trivellazioni sostiene le solite ragioni: sviluppo, crescita economica, occupazione. Il dogma della crescita economica e il ricatto occupazionale giustificano il disastro ambientale in Basilicata causato dall’Eni, e gli emendamenti su misura regalati ai petrolieri. Ma è proprio vero che “di più è meglio”, che per gli interessi economici dello Stato dobbiamo tapparci gli occhi… e il naso?
Puntare sull’energia rinnovabile creerebbe tanti posti di lavoro, più di quelli creati dall’industria fossile. Dobbiamo però anche imparare a uscire dal circolo vizioso della crescita economica ad ogni costo. Ivan Illich, filosofo, storico antropologo, in Elogio della Bicicletta, ci avvertiva che oltre un certo livello di energia procapite la crescita economica non avrebbe aumentato il benessere, ma creato disuguaglianze e frustrato la maggioranza delle persone. Illich mette a paragone la bicicletta e l’auto, entrambe inventate nello stesso periodo storico: la bicicletta poteva dare il massimo di libertà a tutti e il massimo di democrazia a una città. Ma si è invece scelto (complice l’enorme potere delle industrie automobilistiche) un progresso basato sulle energie fossili e sulla motorizzazione privata, un progresso energivoro, insostenibile, antidemocratico.
Ma è tempo di invertire la rotta. Diceva Nanni Salio, del centro Studi Sereno Regis: “Troppe automobili, troppo cemento, troppe case, troppi rifiuti, troppo cibo, troppi prodotti usa e getta che non creano un mondo migliore, ma ci impediscono di avere relazioni più armoniose e distese tra noi e con gli altri esseri viventi. Invece di arricchirci ci impoveriscono. Ecco allora la scelta della semplicità volontaria”.
In Italia abbiamo 61 auto ogni 100 persone, più di 1 auto ogni 2 persone e il mercato sta crescendo. Il rapporto Ispra dice che ogni giorno 55 ettari di suolo vengono cementificati. Si costruiscono sempre nuove case, nuove strade, nuovi parcheggi e centri commerciali. Sempre più villette in campagna (anche per chi non lavora la terra) aumentando i km di strada percorsi ogni giorno per andare a lavorare. Per non parlare dell’eccesso di cibo: 1,3 miliardi di tonnellate di cibo sono sprecate ogni anno nel mondo. Se pensiamo che il 40% della produzione di cereali è destinato all’alimentazione animale, possiamo facilmente dedurre che la scelta vegetariana è una scelta di pace e giustizia non solo verso gli animali, ma anche verso gli uomini.
Siamo sempre più schiavi del supermercato, dei prodotti industriali. Cibo e prodotti imballati, industriali, che producono rifiuti, consumano energia, e vengono da lontano. Alcuni di questi potremmo provare ad autoprodurli o comprarli da piccoli produttori locali… se solo avessimo più tempo.
Ma il tempo chi ce lo ruba? Il troppo lavoro. Tanti disoccupati, ma anche persone che lavorano 8-10 ore al giorno, madri e padri che stanno lontano dai loro figli nel periodo più importante della loro vita, che delegano l’educazione a nonni, babysitter o scuole. Persone risucchiate nel vortice del PIL: più lavoro, più reddito, più bisogni,meno tempo, più acquisti, più spese, sempre più necessità di lavorare. Il Pil cresce ma noi non abbiamo più il tempo di vivere. Lo Stato dovrebbe incentivare sempre di più i contratti part time: lavorare meno per lavorare tutti, e dedicare almeno metà giornata ai nostri affetti, ad apprendere un’arte, a far volontariato, a fare autoproduzione.
Autoprodurre e vivere sobriamente ti fanno risparmiare mensilmente cifre simili ad uno stipendio. Per non parlare dell’impatto ambientale. Mangiando prevalentemente vegano, senz’auto, vivendo in un appartamento di 56 m2 in 5 persone, con energia elettrica che deriva per lo più da fonti rinnovabili, autoproducendo e comprando prevalentemente locale, riusando e riciclando tutto ciò che è possibile, la mia impronta ecologica è 2,8 ettari di cui 0,8 ettari sono “fissi” (dovuti alla politica energetica dell’Italia). Gli italiani hanno un’impronta media di quasi 5 ettari, gli statunitensi di 9 ettari. Gli eritrei di 0,35 ettari.
Questo modello di sviluppo è fallito. È ormai tempo di tendere alla semplicità volontaria, di provare a liberarci dalle fonti fossili. È ormai tempo di uscire dal vortice del PIL. Un vortice che fa a pezzi l’ambiente, che giustifica disastri, abusi e corruzioni, che ci toglie tempo vitale, che ci intrappola nel traffico, che ci fa disimparare ciò che è bello saper fare.