Coriacei, invincibili, talentuosi guerrieri del piccolo schermo? Nì. Perché se è vero che il talento non ha età, è vero pure che il rinnovamento della tv deve passare anche attraverso uno svecchiamento dei suoi protagonisti. Non perché sulla carta di identità c'è una data di nascita che si perde nella notte dei tempi, nossignore. Solo perché l'Italia di oggi non è l'Italia in cui si erano imposti, così come la televisione
Negli Stati Uniti d’America vive un signore che tra pochi giorni compirà 69 anni. Ha una barba lunga lunga, che si è fatto crescere da quando, quasi un anno fa, è andato in pensione. Il signore si chiama David Letterman, leggenda della televisione americana, che il 20 maggio 2015 ha chiuso definitivamente il suo Late Show, salutando tutti e godendosi il meritato riposo.
In Italia, invece, ci sono sfilze di personaggi televisivi da un pezzo oltre i 70 anni che elemosinano un programma, uno spazietto in palinsesto, anche a notte fonda. Perché in Italia si fa così, in ogni campo e da tempo immemore. La cadrega non si molla mai, a prescindere. Nemmeno se ci conviene farlo, nemmeno se piuttosto potremmo goderci la pensione (in alcuni casi dorata). Politica, giornalismo e tv sono i settori più colpiti da questa ossessione di esserci fino all’ultimo respiro, magari anche di morire in diretta, in Parlamento o mentre ticchettiamo sulla tastiera. Quei tre ambiti, croce e delizia del nostro paese, da queste parti vogliono dire potere, vero o presunto, e soprattutto visibilità.
E se in America Letterman va in pensione a 68 anni come un impiegato qualunque, da noi c’è ancora Pippo Baudo (79 anni) che fa il giro delle sette chiese per lamentarsi di essere stato messo ai margini. Non è un discorso di qualità o di merito, chiariamoci. La rottamazione fine a se stessa è un’idiozia, in qualsiasi campo. Persino il più talentuoso dei fuoriclasse, però, a un certo punto dovrebbe avere il coraggio di dire basta, di staccare la spina, di dedicarsi ad altro (dal giardinaggio agli strip club, tutto è lecito). Innanzitutto perché, per quanto si possa essere bravi, non esistono uomini per tutte le stagioni, soprattutto in tv. I gusti del pubblico cambiano velocemente, così come il linguaggio comune, le sensibilità, le preferenze. Non si può riproporre sempre lo stesso stile per sessant’anni, pretendendo di restare sempre sulla cresta dell’onda.
Un altro gigante del piccolo schermo come Mike Bongiorno, per esempio, ancora nel maggio 2009 (pochi mesi prima della morte a 85 anni), era andato ospite a Che tempo che fa per lamentarsi perché Mediaset non lo aveva contattato per il rinnovo del contratto. Sia chiaro: Mediaset deve quasi tutto a Mike Bongiorno, ma davvero ci si può aspettare un rinnovo contrattuale a 85 anni? E perché chi lo ascoltava (Fazio, in quell’occasione) si mostrava indignato piuttosto che dire al grande Mike: “Beh, forse era arrivato il momento di riposarsi, non credi?”. Semplice: perché in Italia funziona così. E in tv, che dell’Italia è specchio fedele, non può andare diversamente.
Il problema è che fare tv provoca dipendenza come il crack o giù di lì, e se passi la tua vita davanti alla telecamera, magari facendo il bello e il cattivo tempo di un canale, non si rassegnerà mai a farsi da parte. È quello che succede a Maurizio Costanzo, colui che più di trent’anni fa era andato in America proprio per studiare il talk show di Letterman. Il giornalista romano ha quasi 78 anni, recentemente non è stato benissimo, eppure è ancora lì che fa radio, tv davanti (tornerà ancora il Costanzo Show su Rete4) e dietro la telecamera (è capo degli autori di Domenica In).
Raffaella Carrà, invece, di anni ne ha quasi 73, ha segnato un’epoca televisiva, è una leggenda vivente, ma un anno fa che va a combinare? Rischia l’osso del collo (rompendoselo) per lanciare un talent scritto da lei su RaiUno, quel Forte Forte Forte che resterà nella storia come uno dei programmi più brutti degli ultimi trent’anni. Poi, resasi conto della colossale stronzata, è tornata nei ranghi riprendendosi la poltrona di coach a The Voice. Di andare in pensione, invece, non ci pensa nemmeno.
Coriacei, invincibili, talentuosi guerrieri del piccolo schermo? Nì. Perché se è vero che il talento non ha età, è vero pure che il rinnovamento della tv deve passare anche attraverso uno svecchiamento dei suoi protagonisti. Non perché sulla carta di identità c’è una data di nascita che si perde nella notte dei tempi, nossignore. Solo perché l’Italia di oggi non è l’Italia in cui si erano imposti, così come la televisione. Ma siamo o non siamo il paese che sceglie ottuagenari come presidenti della Repubblica? E allora c’è poco da pretendere. Dal tunnel della droga si può uscire, da quello del potere e della visibilità evidentemente no.