L’Enciclica Laudato si’ di Papa Francesco è un documento ecologista, ma anche e soprattutto, di denuncia. Nel primo capitolo l’Enciclica tratta sette argomenti. Abbiamo voluto affrontare i primi cinque (Inquinamento e Cambiamenti climatici; La Questione dell’acqua; Perdita di biodiversità; Deterioramento della qualità della vita umana e Degradazione sociale; Inequità planetaria) nel nostro solito modo: con i numeri, supportando quanto affermato da Papa Francesco con dati statistici. La Ricerca è stata divisa in tre parti: nella prima sono stati esaminati i Cambiamenti climatici e l’Inquinamento; nella seconda la Questione dell’acqua e la Perdita di biodiversità; nella terza il Deterioramento della qualità della vita umana, la Degradazione sociale e la Iniquità planetaria.
La questione dell’acqua
L’Acqua è il bene più prezioso esistente sulla Terra, dal momento che solo là dove c’è acqua c’è vita. Da molto tempo, ormai, si avanza l’ipotesi che le prossime guerre si potrebbero combattere, proprio sul possesso dell’acqua, più che su quello dell’oro o del petrolio. Difatti, il consumo d’acqua nel mondo negli ultimi anni è aumentato di sei volte, ad un ritmo più del doppio del tasso di crescita della popolazione. Città del Messico sta sprofondando di 1 cm ogni 2 settimane a causa dello sfruttamento intensivo delle falde freatiche sulle quali poggia. E questo non basta: milioni di suoi abitanti vengono riforniti di Acqua potabile con autobotti o provvedono a comprarla da fornitori privati, sostenendo costi che incidono per circa un 30% del loro reddito.
In definitiva, l’uomo può contare solo sull’acqua proveniente dalle precipitazioni sul suolo generate dal ciclo idrologico. Secondo le stime della Fao, sulla Terra, nel 2013, sono caduti circa 814 millimetri di piogge, che corrispondono, all’incirca, a 110.000 kilometri cubi di acqua dolce, ma di questa solo il 39% (42.920 kmc) costituisce le risorse rinnovabili annue, sia superficiali che sotterranee, utilizzabili per usi umani e ambientali, poiché il 56% evapotraspira nelle foreste e in altre aree naturali e un altro 5% viene assorbito dalla terra destinata alle coltivazioni che sfruttano le precipitazioni per l’irrigazione dei campi.
In conclusione, dunque, la disponibilità di acqua dolce pro capite (Tabella 10) si attesta intorno a 6.000 mc/anno, che corrispondono all’incirca a 16.000 litri/giorno. Apparentemente tutta questa disponibilità sembrerebbe enorme, tuttavia la gran parte di Acqua dolce non solo è difficilmente accessibile – come già detto – ma è anche distribuita in modo diseguale in tutte le parti del Mondo e, in particolare, non proporzionalmente al numero di abitanti che in esse vive. All’abbondanza di Acqua presente nell’America del Sud, nell’Oceania e nell’Europa Orientale, si riscontra la povertà di tale elemento, indispensabile alla vita, nell’Asia e nell’Africa.
Proprio perché le disponibilità di acqua dolce sono, in realtà, molto al di sotto di quelle teoriche appena citate, le Nazioni Unite hanno fissato dei parametri circa il diritto minimo pro capite di questo bene: ogni uomo deve contare su almeno 40 litri di acqua giornalieri, anche se – per poter parlare di condizioni accettabili di vita – ne occorrerebbero almeno 50.
Nel Mondo, come è stato dichiarato nella Giornata mondiale dell’Acqua (2014) si passa da una disponibilità effettiva media di 425 litri al giorno di un abitante degli Stati Uniti, ai 237 in Italia, ai 150 in Francia. Come rovescio della medaglia un abitante del Madagascar deve sopravvivere con 10 litri al giorno.
Focalizzando l’attenzione sul nostro Continente e facendo riferimento alla disponibilità teorica di Acqua (Tabella 11), nell’Ue a fronte di risorse medie pro capite di oltre 4.000 mc/anno, che salgono a circa 10.500 se si considera tutta l’Europa e la Russia, fa riscontro una variabilità notevole tra Paese e Paese, passando dagli appena 233 metri cubi e 694 metri cubi pro capite delle Isole, rispettivamente Malta e Cipro, ai 15.000-32.000 metri cubi dei Paesi ricchi di foreste e per lo più nordici, quali Russia, Svezia, Finlandia, Croazia, Slovenia, Lettonia. Anche in questo caso le differenze tra Nord e Sud appaiono con una certa evidenza, sebbene non in maniera drammatica, come quando ci si riferisce ai Continenti nel loro complesso.
Perdita della biodiversità
Uno degli effetti più strettamente collegati ai veloci cambiamenti in atto, il più delle volte non orientati al bene comune e a uno sviluppo umano, sostenibile e integrale e, quindi, in contrasto con la naturale lentezza dell’evoluzione biologica, è quello del deterioramento del mondo e della qualità della vita di gran parte dell’umanità.
Secondo il WWF (World Wildlife Found), la IUCN (International Union for Conservation of Nature) e altri organismi, siamo oggi in presenza di un tasso complessivo di estinzione delle specie, dovuto alle attività umane, che è stimato da 10 fino a 1.000 volte superiore al tasso di estinzione naturale.
Analizzando poi campioni di specie di vertebrati, invertebrati e piante la IUCN ha riscontrato alti tassi di specie animali e vegetali minacciate di estinzione: rispettivamente 21%, 58% e 69%.
Tutti dati questi che, sebbene frutto di stime e studi di tipo campionario/inferenziale condotto da enti direttamente interessati, ci portano a descrivere un quadro davvero preoccupante.
Un argomento assai dibattuto in questi ultimi anni e che si colloca a pieno titolo nella Perdita della biodiversità è l’introduzione delle Coltivazioni OGM, che l’uomo ha adottato per rispondere alle crescenti esigenze di carattere alimentare legate all’aumento della popolazione mondiale. A fronte di uno spreco di alimenti da parte dei Paesi ricchi stimato in circa un terzo del totale, si modifica il patrimonio genetico delle piante per renderle più produttive e forti, senza avere però prove certe delle possibili conseguenze negative che tali modifiche potranno arrecare all’uomo e non solo.
Le capofila sono multinazionali statunitensi, tedesche e svizzere che utilizzano semi transgenici specialmente in numerosi Paesi in via di sviluppo anche se quasi l’80% delle aree coltivate con OGM appartiene (Tabella 13) ancora agli Stati Uniti (40%), al Brasile (23%) e all’Argentina (13%). Complessivamente i terreni coltivati in tale modalità (2010) sono circa il 10% dei terreni ad uso agricolo.
Nella Tabella 14 è riportato il trend delle aree coltivate con piante OGM e il numero dei Paesi che producono tali coltivazioni per il periodo 2009/2014.
Il Grafico 2 raffigura la ripartizione percentuale delle principali Coltivazioni OGM praticate nel nostro Pianeta, dove soia e mais coprono la maggior parte di tali produzioni.
Alla redazione del presente Articolo ha collaborato Mariano Ferrazzano.