Contrordine. Il Consiglio di Stato ha congelato di fatto i poteri dell’Autorità nazionale anticorruzione (Anac) di Raffaele Cantone nei confronti degli ordini professionali. Che sono riusciti a ribaltare la decisione del tar di pochi mesi fa che invece aveva stabilito che anche agli enti pubblici non economici, come ad esempio il Consiglio nazionale forense e gli ordini degli avvocati, andavano senz’altro applicati tutti gli obblighi di trasparenza stabiliti dalla legge in materia di anticorruzione. “Non so perché si canti vittoria: i controlli si faranno lo stesso”, spiega a ilfattoquotidiano.it lo stesso Cantone. Che molto confida nei tempi brevi di un decreto attuativo della riforma Madia sulla pubblica amministrazione. “Il testo è già in fase avanzata in Parlamento. E non cancella di certo gli obblighi di trasparenza di questi enti pur riconoscendone le peculiarità”. Tutto risolto? Mica tanto. Perché nel caso, improbabile ma non impossibile, che la norma saltasse all’ultimo minuto, si tornerebbe di fronte ai giudici amministrativi. Il ricorso degli ordini degli avvocati resta infatti in piedi, come dimostra la pronuncia del Consiglio di Stato di pochi giorni fa in sede cautelare: del merito si discuterà il prossimo 17 novembre.
FUORICLASSE IN DIFESA “Se andrà in porto il progetto governativo che riconosce una certa flessibilità nell’applicazione delle norme, cesserà, come speriamo, la materia del contendere”, dice Andrea Mascherin presidente del Consiglio nazionale Forense che insieme ai consigli dell’ordine degli avvocati di Roma, Milano e di altre 52 sedi che vanno da Acqui Terme a Casale Monferrato, hanno schierato di fronte alla giustizia amministrativa nella vertenza con Anac una difesa di primissimo livello. Tra tutti l’ex ministro della Giustizia, e presidente emerito della Consulta, Giovanni Maria Flick. Che li ha portati ad ottenere lo scorso 1 di aprile lo stop alle delibere del presidente Raffaele Cantone che richiamavano l’adozione completa delle misure per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità anche agli ordini professionali. Imponendo ai vertici rappresentativi delle categorie e persino ai loro familiari gli obblighi di trasparenza che gravano già su dirigenti pubblici, oltre che sui politici. Ma anche il piano triennale anticorruzione e l’osservanza dei divieti in materia di inconferibilità e incompatibilità degli incarichi previsti dalle norme del 2013. Insomma, una mazzata sotto molti punti di vista.
PATRIMONIO INTOCCABILE “Siamo assolutamente favorevoli, ovviamente, ad ogni misura che favorisca la trasparenza e il contrasto alla corruzione, ma qui c’è una questione di principio: perché un consigliere dell’ordine deve pubblicare anche i suoi redditi professionali? Che c’entra con la trasparenza che debba rendere pubblico l’acquisto di un castello se magari è riuscito a comprarselo con il suo lavoro? E’ giusto semmai che si sappia dei gettoni di presenza, dei compensi o degli rimborsi spesa che gli derivano dalla sua funzione in seno agli organi rappresentativi di categoria”, dice ancora il presidente del Consiglio nazionale forense che insiste anche su un altro punto: “Il patrimonio che serve a gestire questi ordini non è denaro pubblico”. Tant’è vero che non è sottoposto al controllo della Corte dei conti. “Le norme di legge vanno bene per un ministero inteso come macchina complessa. O per i parlamentari che hanno una funzione politica, ma non si adattano a noi. E devo dare atto a Cantone della sua attenzione e del rispetto che ha dimostrato per il nostro ruolo”.
MEGLIO CONOSCERE Insomma, il caso sembra chiuso. Resterà semmai solo qualche polemica in seno alla categoria dove più di una voce critica si è levata sulla gestione del patrimonio. Quella quota di associati, sicuramente malpancisti, aveva accolto favorevolmente la pronuncia del tar dello scorso anno. Che bocciando il ricorso degli ordini e del Consiglio nazionale forense era andato giù duro: intanto non rimettendo il caso alla Consulta dove si era pronti a sostenere la tesi che la legge sugli obblighi di trasparenza poneva a rischio potenzialmente la stessa libertà di associazione. Ma il tribunale regionale aveva soprattutto affermato un principio: ossia l’esistenza di un interesse generale alla conoscenza del modo in cui le risorse degli ordini vengano impiegate, anche se derivano dal tributo privato dei singoli associati. E questo perché, almeno a detta del tar, la natura di enti pubblici è loro riconosciuta in base alla funzione che svolgono nei confronti degli iscritti, ossia degli avvocati. Dalla cui qualità, che passa anche per le attività che competono agli ordini professionali, dipende strettamente la piena garanzia del diritto di difesa previsto dalla Costituzione.