Un anno fa la Cassazione lo dichiarava non colpevole per la morte di Meredith. Il suo primo progetto da uomo libero è stata una app "per azzerare la distanza tra l'utente e il defunto da commemorare". Oggi fa l'opinionista a Mediaset
Un anno fa la Corte di Cassazione ha assolto in via definitiva Raffaele Sollecito (e Amanda Knox). Mancava un quadro probatorio che sancisse un’evidenza di colpevolezza oltre il ragionevole dubbio. Oggi Raffaele Sollecito è un uomo libero e ha il sacrosanto diritto di fare quel che gli pare. Potrebbe fare il cantante, l’assicuratore, il sarto, il fabbro, il web designer, il piazzaiolo. E invece tutti i suoi mirabolanti tentativi di dare il via a una seconda vita sono indizio e prova (questa sì, piuttosto schiacciante) di non essere colpevole di omicidio “oltre il ragionevole dubbio”, ma di essere colpevole di cattivo gusto, ineleganza, mancanza di opportunità e di intelligenza oltre il ragionevole dubbio. Oltre ogni tentennamento. Oltre ogni incertezza.
Su questa faccenda il quadro probatorio è decisamente ricco e affidabile. E no, non faccio parte della lobby di forcaioli che Sollecito ama spesso citare. Faccio parte di quel nutrito gruppo di persone che assiste al suo improbabile e sgangherato tentativo di riscatto e si domanda se non ci sia qualcuno di assennato accanto a suggerirgli di guadagnarsi da vivere uscendo dagli ambiti morti/morti ammazzati. Perché ce ne sarebbero di cose da fare, volendo, eppure il caro Raffaele, per ora, di brillanti idee sul suo futuro lavorativo ne ha partorite due: la prima è stata quella di una app (finanziata dalla Regione Puglia con 66.000 euro) per organizzare funerali, condividere le foto dei morti con altri utenti e, come dice la scheda di presentazione, “per azzerare, tramite i servizi dell’app, la distanza tra l’utente e la persona da commemorare”.
Voglio dire, se davvero grazie a Sollecito esiste il modo di mettere in contatto l’utente col morto, ci auguriamo che la madre di Meredith se la scarichi al più presto e in chat domandi a sua figlia con l’aiuto di chi l’abbia ammazzata Rudi Guedè, visto che è stato condannato per omicidio in concorso con qualcuno ma non s’è mai capito chi fosse quel qualcuno. Comunque, la app di Sollecito per cui ha vinto un bando in regione (giustamente la Regione Puglia ha capito che l’idea dei funerali 2.0 rischiava di far scivolare al secondo posto nella classifica delle app più scaricate al mondo perfino Whatsapp), non deve aver avuto i risultati sperati perché Raffaele ha deciso di intraprendere una seconda strada.
La notizia è fresca di pochi giorni: Sollecito è opinionista tv nel programma Mediaset Il giallo della settimana, in cui discute amabilmente dei morti ammazzati più celebri. Certo, va riconosciuto che in un mondo di opinionisti tv improvvisati, non si può dire che il ragazzo non mastichi l’argomento, per cui tutto sommato apprezziamo la scelta di Mediaset di puntare sulla competenza. È la questione del buon gusto che continua a lasciare vagamente increduli, tant’è che TgCom24 ha annunciato il debutto di Sollecito il primo aprile e praticamente nessuno ha rilanciato la notizia nella convinzione che fosse l’ennesimo, troppo surreale Pesce d’Aprile.
Dopo tre giorni e la messa in onda del programma si è dovuto credere all’incredibile e la notizia ieri è stata rilanciata da tutti. Morale: Sollecito opinionista tv in una trasmissione sui morti ammazzati, nella storia di tutti i Pesce d’Aprile dal cretaceo a oggi, non è, come prassi, una notizia falsa scambiata per vera, ma la prima notizia vera scambiata per falsa. Mi chiedo ora quali saranno i suoi prossimi passi nel mondo del lavoro: magari sarebbe una bella idea fare l’affittacamere per studenti. O l’affilatore di coltelli. O aprire un’agenzia immobiliare a Perugia. Certo è che sull’onda di questo macabro narcisismo c’è da aspettarsi di tutto.
E sì, certo, vale la premessa iniziale. Certo che Raffaele Sollecito può fare quel che cavolo gli pare. È anche vero però che una qualsiasi persona giudicata innocente da un tribunale nonostante mezza Italia sia ancora convinta che sia colpevole, cercherebbe l’oblio mediatico. E se non l’oblio, la ribalta in qualche campo lontano dall’odore della morte, del sospetto che quella morte si porta dietro, del volto di una ragazzina di nome Meredith ammazzata come un cane. Raffaele no, non intende recidere quel legame ma anzi, pare volerlo cavalcare con inquietante tenacia. Peccato. Ha impiegato otto anni per dimostrare la sua innocenza, gli basterebbero cinque minuti per dimostrare la sua intelligenza. Magari aprendo un baracchino fuori dallo stadio o uno studio d’architettura a Barletta, anziché andare in tv a litigare con la Bruzzone di turno su chi ne sappia di più di morti ammazzati. I genitori di Meredith apprezzerebbero, ne sono convinta.