Capita, soprattutto a Roma, che case costruite in edilizia convenzionata siano vendute a prezzi maggiorati rispetto a quanto stabilito nei bandi. E per l’acquirente è una brutta sorpresa dell’ultimo momento. La disparità di trattamento tra imprese di costruzione e cooperative e i controlli mancati

Sorprese dall’edilizia convenzionata

La puntata del 20 marzo di Presa Diretta, una trasmissione televisiva di giornalismo d’inchiesta, è stata dedicata quasi interamente all’emergenza abitativa. L’attenzione era concentrata su Roma (soprattutto) e Milano, ma le stesse situazioni si possono verificare anche altrove. A Roma ad aggravare l’emergenza contribuisce la condizione di un certo numero di famiglie le quali, al momento del rogito di compravendita, scoprono di dover pagare un prezzo di molto superiore (fino a più del doppio) rispetto a quello inizialmente pattuito. Molte non ci riescono, con conseguenze gravi: quelle che già vivono negli appartamenti pur senza esserne ancora proprietarie vengono sfrattate; quelle in attesa di rogitare rischiano di non avere la casa e di perdere i soldi già versati.

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Le abitazioni in vendita sono di edilizia convenzionata agevolata. Poiché sono costruite con un contributo finanziario della regione (o di un altro ente pubblico), il loro prezzo a metro quadro deve essere più basso di quello di libero mercato. E viene determinato in via amministrativa: la regione, nei bandi per l’assegnazione dei contributi, stabilisce il suo livello massimo; entro quel limite, il comune definisce quello effettivo, nella convenzione sottoscritta con l’operatore che offre le case, costruite su aree edificabili messe a disposizione a prezzo calmierato dallo stesso comune. Il venditore non può, pertanto, pretendere un prezzo più alto, né al momento della sottoscrizione del preliminare di vendita né in seguito.

Verifiche e missioni

I servizi giornalistici, invece, hanno documentato non solo che il prezzo di vendita viene aumentato, ma anche che dalla somma fatta pagare all’acquirente non viene nemmeno scontato l’importo del contributo pubblico. È difficile stabilire se nella gestione amministrativa dei programmi di edilizia agevolata c’è stata qualche scorrettezza o peggio. Per evitare che si determinassero le situazioni denunciate sarebbe bastato, però, applicare procedure per l’erogazione dei contributi pubblici più rispettose della loro finalità sociale. In altre parti d’Italia, per esempio, per ottenere il pagamento del saldo del finanziamento pubblico, l’operatore economico deve presentare l’attestato di fine lavori, la convenzione sottoscritta con il comune e il rogito di compravendita dell’alloggio (o del contratto di affitto, in caso di immobile destinato alla locazione).

L’erogazione viene sbloccata solo se il controllo “burocratico” dell’atto notarile accerta che il prezzo di vendita non è superiore a quello proposto dall’operatore per ottenere il contributo e che l’ammontare del finanziamento pubblico concorre al pagamento di quel prezzo. Si tratta di un’elementare verifica che il denaro pubblico finisca nelle tasche dell’acquirente e non nelle casse del venditore. Sempre secondo l’inchiesta giornalistica, i bandi pubblici stabiliscono che i contributi debbano essere scontati dal prezzo dell’abitazione se a vendere è un’impresa di costruzione, ma non se si tratta di una cooperativa di abitazione.

Questa disparità si trasforma in una sovvenzione per le cooperative, senza tuttavia tradursi in un beneficio per i soci potenziali acquirenti, che si trovano così a pagare un prezzo più alto dei loro vicini del palazzo accanto costruito da un’impresa di costruzioni la quale sconta dal prezzo il contributo pubblico. L’inchiesta giornalistica non indaga le ragioni per le quali questa disparità è stata accettata dagli acquirenti. Si possono formulare diverse ipotesi, non alternative fra loro: l’ignoranza del fatto di poter acquistare a un prezzo più basso; il ritenere comunque conveniente il prezzo inizialmente proposto e successivamente lievitato.

Il contributo pubblico diventa, così, un finanziamento della struttura che, nel caso delle cooperative meno efficienti, può garantirne addirittura la sopravvivenza. Sarebbe singolare se le imprese concorrenti e le loro associazioni non avessero impugnato come restrittivi della concorrenza i provvedimenti amministrativi, che obiettivamente li danneggiano. Dalla trasmissione televisiva sembra, però, che la disparità di trattamento persista o perlomeno che sia durata molto tempo.
Dovrebbe anche preoccupare la deviazione da quella che dovrebbe essere la loro esclusiva “missione”, che s’intravvede nel comportamento delle cooperative romane: perde priorità l’obiettivo di migliorare le condizioni di vita dei soci, che sono i veri cooperatori, mentre sopravanzano le esigenze degli apparati delle cooperative, che diventano i loro veri padroni.

Ristabilire il giusto prezzo

Il prossimo sindaco della capitale, che sarà eletto con le imminenti elezioni, sul tavolo si troverà anche il dossier sull’edilizia agevolata, da gestire insieme alla regione. Decidere cosa fare d’ora in avanti non dovrebbe essere un problema. Molto più difficile sarà stabilire cosa fare per porre rimedio a quanto già successo. Comune e regione dovrebbero almeno imporre la vendita delle abitazioni ai prezzi stabiliti negli atti che gli operatori hanno sottoscritto con loro, senza chiedere nessun sovraprezzo. Agli acquirenti che hanno già rogitato dovrebbero essere restituite le somme pagate in più. Le cooperative che non sono grado di farlo con le proprie forze dovrebbero invocare il soccorso delle associazioni alle quali aderiscono. Quelle associazioni non possono essere solo di rappresentanza, ma devono essere anche di solidarietà.

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