La requisitoria del pm di Milano Laura Pedio nel processo in cui l'ex presidente della Regione Lombardia è accusato di aver, tra una vacanza e l'altra, usufruito di almeno 8 milioni in cambio di quindici delibere favorevoli alla Fondazione di Pavia
Roberto Formigoni è un “corrotto”. Potrebbe bastare questa parola a sintetizzare il pensiero della Procura di Milano sul processo Maugeri in cui l’ex presidente della Regione Lombardia è accusato di aver, tra una vacanza e l’altra, usufruito di almeno 8 milioni in cambio di quindici delibere favorevoli alla Fondazione di Pavia.
Nella sua requisitoria il pm di Milano Laura Pedio ribadisce che l’attuale senatore di Ncd faceva parte “di un gruppo criminale” che ha organizzato “una sistematica corruzione di cui lui ha beneficiato”. L’ex governatore lombardo è infatti imputato con altre nove persone, tra cui il faccendiere Pierangelo Daccò (già condannato per processo San Raffaele) e l’ex assessore lombardo Antonio Simone.
L’accusa sostiene che dalle indagini e dal dibattimento è emersa “la certezza che il corrotto è Formigoni” e ricorsa il fiume di “denaro delle tangenti pagate dalla Maugeri per corromperlo”. Per il pm “è ridicolo pensare che si sia trattato di regalie tra amici e solo Formigoni nel suo flusso di coscienza dibattimentale ha potuto dire questo e che lui ricambiava con qualche cena, è quasi offensivo”. Il pm all’inizio della requisitoria ha ricostruito i tre flussi finanziari (dalla Maugeri e dal San Raffaele verso Daccò e Simone; dagli ultimi due verso Formigoni; dalla Regione verso la Maugeri).
Dalle vacanze alla villa: tutti i benefit del Celeste
Secondo la ricostruzione del pm, dalla fondazione Maugeri tra il ’97 e il 2001 sarebbero usciti circa 61 milioni di euro verso conti e società di Daccò e Simone e tra il 2005 e il 2006 dal San Raffaele sarebbero usciti circa nove milioni di euro in buste di contanti verso Daccò, “vere e proprie mazzette“. Per nascondere questo sistema corruttivo con cui Formigoni sarebbe stato corrotto con un flusso “calcolato al minimo in otto milioni di euro”, tra vacanze, l’uso di yacht, lo sconto sull’acquisto di una villa in Sardegna (finita sotto sequestro) e finanziamenti per la campagna elettorale del 2010, Daccò e Simone, attraverso fiduciari, avrebbero messo in piedi una struttura “sofisticata”.
Struttura fatta di “oltre 50 veicoli societari, tutte scatole vuote create” in molti paesi offshore, da Panama alla Nuova Zelanda, da Dubai alle Antille olandesi. In più, ha aggiunto il pm, “in questa girandola vorticosa abbiamo individuato 88 conti correnti con l’unico scopo di alzare una nebbia fitta per nascondere il sistema”. Secondo il pm, per le prove acquisite nelle indagini e nel dibattimento “questo è un processo facilissimo, perché i flussi finanziari ci raccontano le relazioni tra le persone”.
“Daccò collettore delle tangenti per Formigoni”
L’ex direttore amministrativo della Fondazione Maugeri “si è comprato il presidente Formigoni perché Daccò gli ha venduto il presidente, la più alta carica della Regione che poteva dargli gli atti e i finanziamenti di cui aveva bisogno”. Il pm ha espresso il suo “fastidio per quella frase che riecheggia come un disco rotto Daccò è amico del presidentè”. Il magistrato ha aggiunto: “Ed è per questo che è stato ricevuto dal Dg della sanità per 270 volte e ha fatto lui stesso una legge? Basta con questa frase, basta con i giochi di parole, sono stanca, diamo un contenuto a questa amicizia”. Il contenuto, secondo il pm, “è che Daccò era il collettore della tangenti per Formigoni“.
Per l’accusa “le tangenti pagate dalla Maugeri erano state fissate in percentuale rispetto agli stanziamenti poi riconosciuti dalla Regione soprattutto per le funzioni non tariffabili, con una percentuale prima del 25 per cento poi del 12,5 per cento, poi di una somma di 6 milioni all’anno pur di avere in cambio 40 milioni ogni anno in più rispetto ai rimborsi dovuti”.
“Militanza in Cl fondamentale per nascita vincolo corruttivo”
Per il pm gli ex vertici della Maugeri, Costantino Passerino e Umberto Maugeri, “sapevano benissimo che stavano pagando Formigoni”, così come gli ex vertici del San Raffaele “Don Verzè e Mario Cal sapevano che pagavano il presidente”. Sempre secondo l’accusa “l’intensità dei rapporti tra gli associati” nella militanza comune in Comunione e Liberazione “è fondamentale per la nascita del vincolo corruttivo, perché era al meeting di Rimini e anche negli incontri spirituali che si parlava di lavoro e di affari, non era necessario andare in Regione”.
Il “patto corruttivo” tra Roberto Formigoni e altri imputati, tra cui l’ex assessore regionale Antonio Simone e l’ex segretario generale del Pirellone Nicola Maria Sanese, è nato “su rapporti già profondi e caratterizzati dalla militanza comune nel movimento popolare e dalla affiliazione a Comunione e Liberazione e alcuni anche ai ‘Memores Domini… attorno a questo gruppo si è creato anche un clima di omertà e alcuni testimoni hanno fatto fatica a parlare e ricordare”.
Il pm nella sua ricostruzione ha spiegato come, in cambio delle mazzette che sarebbero arrivate sotto forma di benefit di lusso a Formigoni, la giunta guidata dal ‘Celeste’ ha approvato “atti non solo discrezionali ma anche illegittimi per finanziare enti amici”, ossia la Fondazione Maugeri e l’ospedale San Raffaele. “Denaro pubblico – aggiunge – è stato dato senza rilevazione di costi, ecco l’eccellente sanità lombarda
“Metodo Daccò un cancro della sanità”
“Il metodo di Daccò era un cancro della sanità che si andava via via allargando. Un metodo di pressioni sulle istituzioni pubbliche non basato su competenze tecniche, perché Daccò, lo ha ammesso lui stesso, non aveva competenze tecniche, ma su relazioni d’affari di tipo personale” dice il pm rifacendosi alla testimonianza dell’ex dg della sanità della Lombardia e del San Raffaele Renato Botti. Il pm poi ha ricordato la deposizione di Stefania Galli, segretaria di Mario Cal, il braccio destro di Don Verzè morto suicida nel luglio 2011, e ha ripetuto che “il ruolo di Daccò era di collettore di tangenti, riceveva soldi per conto di Formigoni” per ottenere “delibere favorevoli”.
Il pm ha anche ricordato nella requisitoria che l’unico assessore ad opporsi al “sistema” creato dal “gruppo criminale”, di cui faceva parte anche Formigoni, è stato Alessandro Cè, ex assessore leghista lombardo alla Sanità e “che infatti è dovuto andare via”.