Nomine dettate esclusivamente dalle appartenenze politiche, incarichi assegnati ad interim senza alcun bando, posizioni ritagliate su misura per gli amici, commissioni di valutazione addomesticate. L’Autorità anticorruzione guidata da Raffaele Cantone ha indicato “incarichi e nomine” come la seconda area a rischio di corruzione in sanità dopo gli appalti. La politica controlla la sanità come fosse un proprio feudo ed è questa, insieme alla marea di soldi movimentati – circa 110 miliardi di euro l’anno –, una delle ragioni più forti per cui il sistema sanitario nazionale è ammalato di corruzione.

Le giunte regionali hanno carta bianca nel nominare i direttori generali delle Asl, i quali a loro volta scelgono i direttori sanitari e amministrativi, nonché le commissioni che selezionano i primari. Il meccanismo procede a valanga, dall’alto fino agli ultimi ranghi, per occuparsi persino delle raccomandazioni per posti da autista. “Dai dati raccolti emerge che la discrezionalità è usata per effettuare scelte basate sulla fedeltà politica più che sulla competenza”, rilevava l’istituto di ricerca Rissc in uno studio del 2013 su Corruzione e sprechi in sanità. “La nomina dei direttori generali, di Asl o ospedali è legata a soggetti appartenenti a determinate aree politiche sulla base delle preferenze ottenute dai partiti che siedono in giunta”. Il gioco è semplice, basta collocare ai vertici della sanità un dirigente amico per iniziare ad alimentare un bacino di persone pronte a sostenerti finanziariamente ed elettoralmente.

“Il sistema distorto arriva fino al controllo delle nomine ai livelli più bassi della struttura”, scrivono i ricercatori di Rissc “L’intero meccanismo sembra costruire un sistema al servizio della politica, la quale gode di ampi poteri, è immune da qualsiasi responsabilità e non è soggetta a forme efficaci di controllo”. La partita è importante perciò nessun mezzo è risparmiato, dagli incarichi assegnati ad interim, alle selezioni effettuate su criteri fantasma, alle commissioni incredibilmente attratte dai predestinati. Così le reti di fedeltà politica si trasformano in sistemi di corruzione che decidono carriere e destinazione delle risorse pubbliche.

Persino gli stessi dirigenti sanitari, intervistati per il rapporto Curiamo la Corruzione realizzato da Transparency Italia, Censis, Ispe -Sanità e Rissc, ritengono che la causa principale di corruzione del settore pubblico sia “l’eccessiva ingerenza della politica nelle nomine dei vertici della Pubblica Amministrazione” e il conseguente “controllo che questa può rivendicare sui comportamenti e sulle azioni dei dirigenti pubblici”. Tre dirigenti sanitari su dieci indicano le politiche del personale in sanità come una delle aree più a rischio corruzione dopo l’acquisto di beni e servizi e la realizzazione di opere (indicati rispettivamente dal 82,7 per cento e il 66 per cento degli intervistati). Il 26,7 per cento pensa che siano particolarmente a rischio le nomine dei soggetti apicali. Per un dirigente su 5, poi, è particolarmente vulnerabile anche il settore dell’accreditamento, che affida alle strutture private l’erogazioni di alcune prestazioni sanitarie. Segno che la tanto sbandierata privatizzazione non ha risolto ma anzi incentivato i sistemi di clientele e corruzione.

Neppure la riforma firmata dal ministro Marianna Madia, che pure promette di sottrarre le nomine dei direttori generali della sanità dagli appetiti della politica locale, sembra pronta ad incidere radicalmente su questi scenari. Il decreto legislativo prevede la creazione di un elenco nazionale presso il Ministero della salute e la selezione del direttore all’interno di una terna individuata da una commissione regionale. Per la prima volta sono stabiliti dei criteri di merito per la selezione, ma tra questi è previsto il possesso di un un attestato rilasciato dalla Regione di provenienza. Un modo, secondo il segretario dell’Associazione medici e dirigenti del Servizio sanitario nazionale (Anaao),Costantino Troise, di cambiare tutto per non cambiare niente.

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