Faccio subito coming out: sono iscritto da anni alla Siae e, teoricamente, sarei molto favorevole all’idea che sia un ente pubblico, senza padroni, a gestire i diritti d’autore e distribuirne i proventi. Il punto è che, come capita a molti altri autori e artisti indipendenti, i dubbi pratici stanno diventando più pesanti degli auspici teorici. Molti di noi stanno migrando verso società che offrono la gestione dei diritti, che sono sì private – e quindi purtroppo legate alla logica del profitto – ma probabilmente più trasparenti e (perdonate la schiettezza…) disposte anche a riconoscere una fetta più consistente dei proventi al musicista che, in ultima analisi, li genera e a cui appartengono.
Il ministro Franceschini, che precedentemente sembrava orientato ad una liberalizzazione del mercato in linea con quella degli altri Paesi europei, sembra aver fatto marcia indietro, dichiarando che ‘uno strumento unico che ci consenta di avere una posizione di forza nel confronto con gli altri Paesi europei e nel mercato globale è una cosa a cui non si può rinunciare’, aggiungendo però (per fortuna) il riferimento a una ‘riforma urgente e profonda della Siae’. Il rischio è quindi di trovarci in una terra di mezzo, né monopolio né liberalizzazione, che onestamente fatico a capire a chi sia utile. A noialtri ‘piccoli’ no di certo.
Per molti versi, la Siae di oggi appare difficilmente difendibile. L’ultima assemblea risale a più di 3 anni fa, mentre il conto operativo è da anni in perdita, di 27 milioni di euro nel 2013 e 26 nel 2014. Il bilancio riporta debiti per oltre 900 milioni di euro che non ha distribuito ai detentori dei diritti. Ma, dal punto di vista della maggior parte degli artisti, che non ha un conto milionario in banca, tutti questi numeri significano molto poco.
La cosa che mi lascia più perplesso è che il 60% degli artisti guadagna meno di quello che versa. È vero che gli ultimi dati disponibili in questo senso sono del 2009, ma a naso vi direi che le cose in questo senso non stanno sicuramente migliorando, come non migliora l’odioso sistema del ‘voto per censo’ (articolo 11 dello Statuto SIAE), che rende di fatto impotente la maggioranza degli iscritti. A margine, mi sembra anche il caso di ricordare i 3,9 milioni di “retribuzione base” per i 43 dirigenti assunti.
Purtroppo chiudo questa riflessione senza una certezza assoluta. Probabilmente la tutela dell’artista come categoria sociale, come ‘intellettuale organico‘ non passa né per l’ente-dinosauro né per la liberalizzazione sfrenata. Fino a che punto questa Siae è riformabile? Fino a che punto un mercato aperto non finirebbe per essere, per altri versi, comunque schiavo del profitto a tutti i costi? L’idea di artisti auto organizzati, che gestiscano i propri diritti autonomamente e in trasparenza sembra, al momento, solo un’utopia. La paura, caro ministro Franceschini, è che si finisca per decidere di non decidere.