La signora anziana ha sempre parlato sottovoce, impercepibile per gli astanti. La più giovane, invece, ha iniziato gradualmente ad alzare la voce, arrivando poi ad urlare, creando imbarazzo. Imbarazzo che si è acuito quando la signora più giovane ha iniziato a insultare pesante la signora più anziana, chiamandola “mamma”. I camerieri del ristorante, uno dei più in di Milano, hanno cercato di arginare il tutto, presidiando in maniera costante il tavolo delle signore, come a sperare che la loro presenza avrebbe in qualche modo indotto le due a fermarsi. Le due, in realtà la signora ha continuato a sussurrare risposte alla più giovane, senza farsi mai sentire. La giovane ha parlato di un’azienda ceduta per tre milioni a sua insaputa, di dividendi non corrisposti, ha usato più volte la parola “stronza”, la parola “maledetta”. Ecco, “che tu sia maledetta,” le ha detto più volte. I camerieri si sono avvicinati al nostro tavolo, quello di fianco alle due signore, proponendoci di cambiarlo. “Neanche ci pensiamo”, abbiamo risposto, del tutto intenzionati a sapere come sarebbe andata a finire.
Piccolo passo indietro.
Io, Federico Zampaglione dei Tiromancino, e il suo ufficio stampa della Sony, siamo seduti a un tavolo del ristorante Al Bolognese (sì, amici, dopo la colazione di Fragola ci ho preso gusto, e ora siamo passati ai pranzi). Stiamo parlando del suo nuovo album. Io e Federico indossiamo occhiali da sole, scuri. Salutandoci, una mezz’ora prima, ci siamo stretti la mano. Ci siamo incamminati dalla casa discografica verso il ristorante praticamente non rivolgendoci la parola. Siamo dentro al ristorante. Volendola descrivere usando un linguaggio da rivista patinata, potremmo dire che quello che stiamo imbastendo, fino a questo momento, è stato uno scontro tra maschi alpha. Qualcosa di poco complicato, tutto muscoli e testosterone. Federico è un pugile, lo so bene, ma io sono quello che scrive e qui scrive di lui, quindi parto avvantaggiato. Ci studiamo, ballando sulle punte dei piedi.
Mi piace, gli dico, il fatto che, arrivato alle soglie dei quarantasette anni, esattamente uno più di me, non si nasconde dietro una finta adolescenza di ritorno. Affronta argomenti che un tempo non avrebbe potuto cantare, e lo fa con consapevolezza, quasi con saggezza. Teoria, questa, confermata da lui, che mi fa notare come il suo, nei confronti della vita e dei rapporti interpersonali finiti nei testi delle nuove canzoni, sia un atteggiamento quasi filosofico, di chi ora ha altre aspettative, altre priorità. Piccoli miracoli, in pratica, viene da dire, come quelli cantati nel primo fortunato singolo.
Una hit, passata in radio nonostante non sia parte di certe lobby e consorterie. Una delle tante hit sfornate da Federico, gli faccio notare e mi fa notare, perché l’incontro a distanza ravvicinata non è mica finito. Hit tirate fuori in quasi vent’anni di carriera, forse anche qualcuno di più, fatto piuttosto inusuale in Italia. Passiamo a parlare di tatuaggi, perché adesso Federico vuole tatuarsi la scritta Hitman sul petto, di fianco al tatuaggio dedicato alla madre. Questo farà piangere sua figlia, ci spiega, perché si è convinta che se uno che si tatua troppo poi diventa verde e muore.
Hitman, ripete, come un mantra, un nome da pugile.
Di hit, nel nuovo album, Nel respiro del mondo, ce ne sono diverse. Tutte canzoni quadrate, precise, ma con dei picchi verso l’alto che, a questo punto della carriera, sono quasi miracolosi. E miracoli, si sa, è la parola chiave di questo lavoro.
Piccoli miracoli, la prima hit, battistiana, bella melodia orecchiabile e ritornello arioso, poi Tra di noi, una ballata destinata a spodestare Per me è importante nelle playlist dei tiromanciniani, e non solo. La voce di Federico è cambiata, gli faccio notare, si è inspessita, è diventata più bassa, quasi da crooner. Colpa o merito dell’anagrafe, mi fa notare, con l’età si cambia ed è bene farci i conti, approfittare dei cambiamenti. Cambiare registro, si dice tecnicamente, e Federico l’ha cambiato, eccome. Ci sono almeno due brani nell’album che lo attestano chiaramente, Il linguaggio segreto dei pesci, sorta di brano alla Massimo Volume in chiave pop, e Non dipende da noi, brano acustico e sensuale, sudato e appiccicoso come certe notti d’estate. Non saranno hit, probabilmente, perché non destinate a diventare singoli, come invece, si suppone, succederà a Imprevedibile, un poppone davvero dirompente, leggero e scanzonato, con un hook da paura, e con un ritornello che ti si inchioda in testa.
La paura.
È quella che leggiamo negli occhi della signora più giovane ora. Sembra spiritata, come la Wendy di Shining. Sta dicendo cose tremende alla vecchia signora. Temiamo che da un momento all’altro tiri fuori un coltello e la uccida, finendo di diritto in uno dei film di Federico, maestro dell’orrore. Ci sta spiegando come la racconterebbe, questa scena, il primo piano degli occhi, il coltello che si alza e attraversa la carne, gli schizzi di sangue che arrivano sul quadro posto nella parete di fronte, i passi che si allontanano, in primo piano.
Se Imprevedibile potrebbe benissimo essere la hit dell’estate, uno dei tormentoni che ogni anno si contendono il primato delle canzoni più passate in radio, è L’ultimo treno della notte che potrebbe diventare quello dell’autunno. Pensate a una Felicità di Lucio Dalla. Pensatela oggi, nel 2016. Ecco, ci siete vicini.
Poi ci sono le altre canzoni, tutte belle, mai lontani dalla perfezione. Hitman, dice Federico, me lo devo tatuare sul petto, poi troverò modo di spiegarlo a mia figlia.
Parliamo della scelta del produttore, Luca Chiaravalli. Lui, Luca, ha da poco lavorato con Nek, ridonandogli vita. A me quel lavoro non è piaciuto, ma so riconoscere quando uno è bravo e lui lo è. Prima lo aveva fatto con Eros, con un po’ meno fortuna. Federico voleva qualcuno che amasse le canzoni e sapesse usare suoni elettronici, Luca Chiaravalli, appunto.
Forse è arrivato il momento di dirlo, il disco mi è molto piaciuto. Lo trovo uno dei migliori dei Tiromancino, al pari di La descrizione di un attimo e In continuo movimento. Quindi uno dei migliori album italiani degli ultimi venti anni. Lui, Federico, lo considero una delle migliore firme di casa nostra, al pari coi suoi concittadini e coetanei Daniele Silvestri, Niccolò Fabi e Max Gazzè. Toh, mettiamoci pure Samuele Bersani, via. Fossimo un film horror, diremmo Il ritorno degli Ultraquarantenni. Gente che sa come scrivere canzoni, scegliere le melodie, le armonie, i suoni, le parole. Dovrebbe essere sempre così, ma così non è.
Federico le sa scrivere e sa scrivere hit.
Hitman, sì, nome azzeccato. Un nome da pugile (anche se lui è un po’ Oscar De la Hoya, va detto).
Ha anche saputo rinnovarsi, rimanendo attuale oggi come era attuale venti anni fa, quando è uscito. Certo, con l’esperienza di chi ha venti anni di musica alle spalle, ma moderno, contemporaneo.
I camerieri ci stanno offrendo un giro di liquori, come a volersi far perdonare quello che, in verità, è stato un decisamente interessante fuoriprogramma, la lite delle due signore, madre e figlia. Ci chiedono ancora se vogliamo cambiare tavolo, ma da lontano non potremmo sentire i sussurrii, per altro impercepibili, della vecchia signora. Le urla della figlia, invece, li sentono anche da fuori.
Nel respiro del mondo entra, per ora, nei dischi migliori ascoltati quest’anno. Niente a che vedere col mondo della televisione, come si faceva una volta. Un piccolo miracolo, quindi, come quelli che canta Federico.
Questa storia sta per finire qui. Stiamo per andarcene, ma se un racconto comincia con due signore che parlano, madre e figlia, il racconto non può che finire alla stessa maniera. La signora anziana, i capelli cotonati tendenti al grigio perla, emette un sibilo. Sembra il soffio di vento che annuncia l’arrivo di Dracula nei film dell’orrore tanto cari a Federico Zampaglione.
“Facciamo, una cosa,” dice, “non vediamoci mai più.”
“Cioè, tu per i soldi rinunceresti a tua figlia,” dice la signora più giovane, impietrita.
“Sì,” dice la mamma. La signora più giovane si alza in lacrime e scappa via. La signora tira fuori dei fogli della banca, degli estratti conti, e comincia a leggerli con non chalance.
Non sempre invecchiando si diventa più saggi e filosofi, ci dice la morale di questa storia. O forse sì. Comunque, alla fine, vincono sempre le vecchie generazioni, fatevene una ragione, bambini.