Martina Manara e Caterina Pedò - entrambe architetti 26enni emigrate a Londra - hanno creato la piattaforma che mappa il viaggio dell’utente e mette a disposizione una bacheca su cui le ong locali postano annunci e offrono aiuto
Il rifugiato è anche un invisibile. Perché perde i contatti con la famiglia, spesso non parla la lingua del posto e non sa a quale ente chiedere aiuto. Per rintracciare parenti e amici dispersi in Italia e nel resto d’Europa, due italiane emigrate a Londra, Martina Manara (a sinistra) e Caterina Pedò (a destra), entrambi architetti, tutte e due di 26 anni, hanno inventato Hi here, il primo social network per richiedenti asilo. Si scarica tramite un’app, mappa il viaggio dell’utente e permette di connettersi con gli altri rifugiati tramite una ricerca filtrata in base al paese d’origine o al luogo e al periodo della permanenza nel centro di prima accoglienza. Non solo. Hi here mette a disposizione anche una bacheca su cui le ong locali postano annunci e offrono aiuto. In un’altra sezione, invece, sono inseriti dei tutorial sul diritto d’asilo in Italia e sulle diverse strutture di accoglienza (cia, cara, sprar). Infine, i rifugiati possono partecipare attivamente al monitoraggio dell’assistenza sul territorio lasciando un voto, un commento o una foto sui servizi a loro dedicati. L’app sarà disponibile dal mese di giugno in cinque lingue: italiano, inglese, francese, arabo e farsi. Per finanziarla, le due fondatrici hanno lanciato un crowdfunding su Indiegogo che scade il 25 maggio. L’obiettivo è raccogliere 20mila euro.
“L’idea è nata dopo una ricerca sul campo in Puglia – spiega Martina -. La prima cosa che fa un immigrato appena arriva in Europa è investire tutti i suoi risparmi nell’acquisto di uno smartphone, se non ne ha già uno, e cercare una zona wifi per comunicare con gli amici su Facebook, mandare mail, e informarsi sulle leggi del nuovo Paese e sulle strutture di accoglienza nelle vicinanze”. L’estate scorsa Martina ha trascorso due mesi nella provincia di Foggia, dove ha comparato il sistema di ricezione nel Cara (centro di accoglienza per richiedenti asilo) di Borgo Mezzanone, nel comune di Manfredonia, con quello diffuso sul territorio e gestito dagli enti locali (sprar).
“Dalle analisi che ho fatto è emerso che l’accoglienza affidata alla rete territoriale, contrariamente a quanto si immagini, non è sempre migliore di quella nei centri. A causa della disoccupazione e della scarsità di risorse”. L’indagine era finalizzata alla sua tesi di master in Pianificazione regionale e urbana, che ha frequentato per un anno, tra il 2014 e il 2015, alla London school of economics. “Ho finito il master a novembre e dopo neanche due mesi ho trovato lavoro – Martina ha il tono soddisfatto -. Non ho dovuto nemmeno cercare fra gli annunci, perché mi sono proposta io. Ho inviato una lettera di interesse al titolare dell’agenzia che dà consulenza alla Banca mondiale sulla normativa che regola le proprietà terriere nei paesi in via di sviluppo. Mi ero imbattuta spesso nel suo nome leggendo gli articoli accademici. Ho fatto la cosa più semplice del mondo, cercarlo e propormi, e mi è andata bene. Lui mi ha fissato subito un colloquio, dopodiché mi ha assunta. Ho un contratto part-time, mi mantengo da sola, l’ideale per adesso, perché oltre a questo lavoro seguo un altro progetto”. Quello del collettivo di architettura, Mmplab, con base in Svizzera, che a parte ideare nuovi costruzioni, si occupa di ricerca, di come migliorare l’ambiente urbano con uno sguardo al sociale. Mmplab è formato da Martina, il suo ragazzo Dino (designer) e Caterina. “Ci piacerebbe riqualificare l’insediamento di rifugiati e braccianti di Rignano, nel foggiano. Quelle persone, tra l’altro tutte con i documenti in regola, non possono continuare a vivere in baracche di legno e di plastica. Vogliamo creare degli spazi decorosi e confortevoli”.
La corsa all’estero di Martina è iniziata appena maggiorenne. Quando ha deciso di lasciare Rivarolo del Re, in provincia di Cremona, per trasferirsi metà settimana a Mendrisio, in Svizzera, per seguire la facoltà di Architettura, e l’altra metà a Friburgo, dove si è iscritta a un secondo corso di laurea in Filosofia. “La Svizzera mi dava la possibilità di frequentare due atenei allo stesso tempo. Ho sempre avuto il pallino della filosofia, credo che la sfera pratica vada nutrita con le idee”. E non tornerebbe mai indietro. “Ho scelto la Svizzera perché ero sicura che non sarei rimasta a piedi finiti gli studi. Tutti i miei colleghi di architettura oggi hanno un lavoro. Là ci sono tantissime opportunità a differenza dell’Italia”. Per ora il suo futuro lo vede all’estero. “Realisticamente non credo di poter tornare lì. Considerando i pochi fondi che il governo stanzia per la ricerca e le prospettive nell’ambito dell’architettura, praticamente inesistenti, meglio rimanere fuori. Da noi manca una cultura attenta alla conservazione del paesaggio, quantomeno non è una priorità dei nostri politici. Eppure l’Italia avrebbe enormi potenzialità. È inutile insomma tornare per restare disoccupata”. A settembre Martina incomincerà un nuovo capitolo della sua vita con un dottorato di ricerca in pianificazione urbana nel continente africano, sempre alla London school of economics. “Ho vinto una borsa di studio, la selezione è stata tosta. Londra, a parte gli affitti carissimi, mi piace”.