Tra Italia ed Egitto lo scontro sul caso di Giulio Regeni si fa sempre più duro. Il nodo su cui si sta concentrando la battaglia investigativa – e di conseguenza quella diplomatica – è rappresentato dai tabulati telefonici di una decina di persone e dei video delle zone frequentate da Regeni, che la Procura di Roma ha chiesto più volte agli inquirenti egiziani. Una richiesta che però è sempre stata negata.
Proprio per questo i magistrati capitolini, guidati da Giuseppe Pignatone, la prossima settimana inoltreranno una nuova rogatoria internazionale nella quale saranno riformulate alle autorità egiziane le richieste di acquisizione dei dati. L’analisi di quel traffico è determinante per capire quali telefoni fossero presenti il 25 gennaio nella zona di Dokki, il distretto del Cairo dove quel giorno fu sequestrato Regeni. E incrociando quei tabulati con quelli della zona del ritrovamento del cadavere e con quelli in possesso della Procura grazie all’analisi del pc del ricercatore, gli investigatori non escludono di poter individuare la pista giusta per arrivare ai torturatori e agli assassini del ricercatore.
Ma l’Egitto fa sapere ufficialmente che non consegnerà quanto richiesto perché “sarebbe contro la Costituzione e le leggi vigenti egiziane”, come dichiara il procuratore generale aggiunto egiziano Mostafa Soliman in una conferenza stampa al Cairo in cui illustra i risultati della missione a Roma dei giorni scorsi. Un vertice fallimentare, a giudizio dei nostri inquirenti. Dove le autorità egiziane, dopo aver annunciato la presentazione di un dossier di oltre 2 mila pagine, si sono presentate con un fascicolo contenente informazioni già note. E dove hanno tentato di riaccreditare la pista secondo cui Regeni è stato ucciso dalla banda di rapinatori successivamente sterminata dalla polizia. Un atteggiamento che ha spinto il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni a richiamare per consultazioni l’ambasciatore italiano Maurizio Massari a Roma dall’Egitto, solo la prima di una serie di azioni diplomatiche da avviare, dice oggi il ministro. Mentre per la Procura egiziana il vertice tra investigatori italiani ed egiziani è stato una sorta di “successo”. “Il 98 per cento delle richieste italiane sono state soddisfatte, ad eccezione di quelle sulle chiamate telefoniche che sono contro la costituzione e la legge egiziane”, dichiara Soliman. Fonti vicine alla delegazione egiziana in ritorno da Roma fanno sapere che la richiesta è “contraria all’articolo 57 della Costituzione” egiziana che protegge la privacy di “mail telefonate e ogni sorta di comunicazioni”. Inoltre si tratterebbe di qualcosa di “estremamente difficile da realizzare” dato che l’esame di simili tabulati “necessita di una tecnologia moderna e tempi lunghi”. La fonti al sito del quotidiano egiziano Youm7 sostengono che la delegazione del Cairo “è stata colta di sorpresa da questa richiesta”.
Sul fronte diplomatico, il governo intraprenderà nuove azioni contro l’Egitto. “Ci lavoreremo nei prossimi giorni”, dice Gentiloni durante la sua visita a Tokyo dove si trova per partecipare al G7 degli Esteri di Hiroshima di domani e lunedì. “Ricordo sempre gli aggettivi che ho usato e cioè che adotteremo misure immediate e proporzionali: questo ci siamo impegnati a fare e questo faremo”, dice Gentiloni aggiungendo che “noi semplicemente avevamo detto in Parlamento che ci aspettavamo un cambio di marcia da questo incontro di ieri e l’altro ieri tra i team investigativi: abbiamo detto – osserva il ministro – che se questo cambio di marcia non ci fosse stato avremmo preso alcune misure immediate e la prima misura che abbiamo preso l’abbiamo presa immediatamente, cioè il richiamo per consultazioni del nostro ambasciatore”. Alla domanda se la vicenda possa essere discussa con il segretario di Stato John Kerry, nell’ambito del bilaterale in programma, Gentiloni spiega che “gli americani in generale sono sensibili alle questioni dei diritti umani in diversi Paesi e certamente anche in questo genere di questioni. Poi non credo ci sarà un dibattito specifico su questo argomento, ma non ho dubbi che gli Usa siano sensibili all’argomento”.