“E’ strategica per il Paese, porta molti occupati al Sud: l’emendamento che la sblocca lo rifirmerei domattina”, rivendica il capo del governo Renzi. Niente affatto, è un’opera “ad altissimo impatto ambientale utile solo alla multinazionale che fa profitti enormi scaricando sull’Italia tutti i costi ambientali” è la replica dei Verdi. Oggetto del contendere: il giacimento petrolifero lucano Tempa Rossa della Total da cui è partita l’inchiesta per corruzione e traffico di influenze illecite della Procura di Potenza, il filone d’indagine che ha portato anche alle dimissioni del ministro Guidi per via degli interessi del compagno a ottenere commesse dalla stessa multinazionale francese. Gli ambientalisti sollevano la questione dei benefici inesistenti per l’Italia e la Basilicata e dei rischi certi a dotarsi dell’ennesimo impianto di estrazione dell’olio nero. L’unica a beneficiarne davvero sarà la società, perché il greggio estratto non è destinato ad aumentare la bilancia energetica nazionale e di riflesso l’autonomia dell’Italia. La notizia è confermata dalla Total che tuttavia difende il progetto, sostenendo che in ogni caso porterà grandi benefici all’Italia in termini di gettito per l’erario, royalties per il territorio e occupazione.

Partiamo dal “dove” e dal “cosa” per arrivare al “quanto”. Tempa Rossa è il giacimento scoperto nel 1989 e in costruzione da due anni in località Corleto Perticara (Potenza), tra il Parco Regionale di Gallipoli Cognato e il Parco Nazionale del Pollino, concesso all’azienda Total (50%), Shell e Mitsui. Si tratta di sei pozzi che dovrebbero produrre 50mila barili di petrolio al giorno, aumentando del 40% la produzione nazionale di petrolio che attualmente è di 105mila barili/giorno (5,3 milioni di tonnellate/anno). Il progetto, già approvato in fase di Valutazione di impatto ambientale, ha poi una ramificazione esterna, ovvero il trasporto del petrolio a Taranto e il suo stoccaggio (mentre la raffinazione dovrebbe avvenire in un’altra regione). Ed è proprio per questi ultimi passaggi che serviva l’emendamento ad hoc che avrebbe avuto effetto sul completamento dell’opera, assimilando le opere accessorie (quelle necessarie al trasporto, allo stoccaggio, al trasferimento degli idrocarburi in raffineria, i terminali costieri e le infrastrutture portuali strumentali) a quelle strategiche per le quali occorre un’autorizzazione unica e l’ultima parola spetta al governo, bypassando il potere di interdizione degli enti locali.

Che per i Verdi, del resto, non avrebbero alcun serio ritorno dall’attivazione dell’impianto ma solo danni. “Il petrolio che verrà estratto dalla Total in Basilicata, sarà trasferito con oleodotto a Taranto e caricato su 90 petroliere che ogni anno lo porteranno nelle raffinerie della Total e della Shell all’estero”, dicono citando gli stessi dati riportati nelle brochure ufficiali del progetto. “L’estrazione del petrolio Tempa Rossa conviene solo alla Total”. Poi i numeri: “E’ di 2,7 milioni di t/anno di greggio la capacità produttiva di Tempa Rossa in Basilicata ma con costi ambientali ed economici per le comunità locali drammatici”, come testimonia l’inchiesta della procura di Potenza. Ritorni? Pochini, in verità.

Le royalties in Italia sono tra le più basse nel mondo 7% per il petrolio e secondo la stessa Total questi sono i numeri: 180 milioni di dollari di royalities all’anno con prezzo barile a 100 dollari. Questa proiezione della Total vecchia di alcuni anni fa va riattualizzata con i nuovi prezzi del petrolio che indicativamente oggi si attestano a 38 dollari al barile portando le royalties annue di Tempa Rossa a 68 milioni di dollari anno”. Che siano tanti o pochi, insistono gli ambientalisti, quel numero a molti zeri va epurato dei costi ambientali che pure ci sono, come dimostra la vicenda del Centro Oli di Viggiano.

Quanto incassa invece la Total e la Shell dal petrolio Tempa Rossa? “Un miliardo di dollari l’anno con il prezzo del barile a 38 dollari mentre con la previsione della Total a 100 dollari il prezzo del barile, l’incasso sarebbe di 2,6 miliardi di dollari anno”. Se così fosse, in due anni Total rientrerebbe  dell’investimento e andrebbe subito in profitto, dicono, “avendo a regime poco più di una decina di occupati”. Anche sui posti di lavoro i numeri sono discordanti. Nella fase di realizzazione il progetto Tempa Rossa, cioè 24 mesi, realizzerà 300 nuovi posti di lavoro, mentre sono oltre 35 le attività agricole che vedranno espropriati i loro terreni e la perdita di lavoro in questo caso sarà definitiva per circa 280-350 persone. Per questo al denuncia dei Verdi di Angelo Bonelli parla di una “colonizzazione delle risorse naturali della Basilicata”. La Total, detto altrimenti, estrae il petrolio, se lo porta a casa sua e lascia inquinamento e rifiuti petroliferi ai lucani e ai tarantini.

Ovviamente opposta è la versione della Total, che a ilfattoquotidiano.it difende a spada tratta l’utilità dell’impianto per il paese-Italia. Dicono i francesi: è vero che il greggio sarà raffinato altrove e sarà venduto sul mercato internazionale del greggio e non in Italia, ma gli ambientalisti si decidano perché se lo raffiniamo in Italia inquiniamo e non si può, se lo vendiamo all’estero allora non va bene perché non contribuiamo alla bilancia energetica nazionale. Insomma, si decidano è la risposta che passa attraverso un pocker di argomenti tutti pro-Tempa Rossa: un 50% di gettito fiscale per Erario e territorio della Basilicata, risultano dal 10% di royalties e dal 40% di tassazione sugli utili d’impresa, perché – precisano dalla multinazionale francese – “il greggio finisce all’estero ma è Total Italia che vende ed è in Italia pagherebbe le tasse”. Per ribadirlo si cita uno studio della Luiss che stima in 7 miliardi i benefici economici per la regione fino a esaurimento del giacimento stimato a sua volta in 40/50 anni.

L’affondo degli ambientalisti non sfiora il tema della legalità, che pure ha un peso enorme nelle indagini in corso. Utile, in proposito, è rileggersi oggi tutte le brochure del progetto diffuse ai tempi delle autorizzazioni. Si scoprirà in quelle che Total esibiva una sicurezza da leoni sul tema, a quanto pare messa in dubbio oggi dall’inchiesta di Potenza. Un paper di 20 pagine ancora oggi caricato sulla versione italiana del sito Total risponde a 20 domande/obiezioni che sono state una costante dei comitati locali No-triv. Sicurezza, ambiente, lavoro poi il nodo degli appalti e della regolarità delle opere. “Cosa fare per evitare il rischio di corruzione, sempre possibile visto l’investimento così ingente?”, si legge nelle Faq di Total. La risposta, alla luce dei fatti contestati dalla Procura, ha un ché di sardonico:  “Total dispone di un Modello di Organizzazione e Gestione così come previsto dal D. Lgs. 231/2001, permanentemente adattato alle evoluzioni della normativa. L’Organismo di Vigilanza è un organismo ad hoc che ha il compito di vigilare su questo processo di aggiornamento e sul rispetto del Modello stesso. TOTAL E&P ITALIA ha inoltre un Codice di Comportamento incluso in tutti i contratti e distribuito al personale e che comprende la Carta Etica. Quest’ultima rappresenta un punto di riferimento comportamentale: una serie di regole che devono essere obbligatoriamente seguite da tutto il personale e dai fornitori”. I magistrati sembrano avere molti dubbi che le cose siano poi andate così.

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