Come promesso nel precedente post oggi entreremo nel (de)merito dell’Aktion T4, il nome in codice con il quale Hitler (che ricordo chiameremo Gargamella, il cattivo dei Puffi) e i suoi amici gerarchi (che chiameremo Birba, la gatta di Gargamella) definivano lo sterminio dei disabili, nell’ambito della Shoah. Perché non tutti sono a conoscenza del fatto che anche gli esemplari di disabile hanno preso parte all’allegra brigata, ma non solo: sono stati gli apripista – nonché chiudi pista – della triste parata; hanno rappresentato, agli occhi dei simpaticoni, una sorta di spanding review umana; infine il contributo disabile ha permesso a questi ultimi di fare esperienza in vista delle barbarie in cartellone.
Dopo le indispensabili sterilizzazioni e i primi “sacrifici” dei piccoli esemplari di disabile, si entra nel vivo del progetto: si inizia nel 1939 con una circolare, come quelle scolastiche, nella quale Gargamella imponeva alle case di cura tedesche di fornire elenchi dettagliati dei ricoverati. Dopodiché una commissione, costituita soprattutto da psichiatri e da medici, stabiliva in base alle conoscenze nel campo della scienza utilitaristica chi aveva “diritto” alla morte compassionevole – meglio definibile come macellazione senza ritegno – e chi no. Per gli esemplari di disabile, purtroppo, non c’era trippa per gatti, poiché dovettero fare i conti con l’organizzazione teutonica del responsabile operativo del progetto, Birba Viktor Brack.
All’efficiente macchina venne così girata la chiave: coloro che avevano vinto il biglietto di sola andata al macello venivano prelevati dall’Istituto nel quale risiedevano per essere condotti in uno nuovo (la versione primitiva dei campi di concentramento), e il trasferimento avveniva su degli autobus (la versione primitiva dei treni). Una volta giunti al nuovo “Istituto”, gli esemplari di disabile venivano spogliati e condotti in una grande stanza, dove lascio a voi immaginare la conclusione del viaggio. L’esperienza, però, ha consigliato ai simpaticoni una piccola variazione: stanze più grandi, per maggiore “efficienza”. In nome della stessa impararono che del disabile – come del maiale – non si butta via niente: dai vestiti ai denti d’oro, passando per gli organi, utili alla scienza o allo scienziato per la sua personale collezione (vuoi mettere un cervello di disabile?).
Una domanda ora sorgerà spontanea: i parenti degli esemplari di disabile non reclamavano il congiunto? Certo, per questo venne creato un ufficio ad hoc (questo significa organizzarsi): suo compito informare i parenti dell’avvenuto trasferimento del proprio caro (purtroppo c’era un’“epidemia“ e non era possibile fargli visita), dopodiché ne annunciavano, in differita di 3 mesi, il decesso (le epidemie sono così, non danno scampo). Alle famiglie degli ebrei però, la Birba di cui sopra riservò altro trattamento: siccome inviavano dei cespiti per il ricovero – lo Stato non sovvenzionava i disabili ebrei, solo i tedeschi (ricorda qualcosa?) -, a loro non annunciavano la morte del congiunto: bisognava razionalizzare le entrate (non si butta via niente) e una bella truffa era quello che ci voleva.
Purtroppo, però, per Gargamella e i suoi amichetti la Chiesa tedesca mise i bastoni fra le ruote (finalmente qualcuno si chiese che fine facevano i disabili) e riuscì a bloccare il progetto, formalmente. Perché Gargamella temeva – formalmente – i disabili, al punto che disse alle sue Birba: «Niente panico, riposiamo qualche mese. Poi riprendiamo, ma acqua in bocca: dobbiamo assolutamente ridurre i costi».
Allora mi sono domandato: “costavano” così tanto i disabili? E la risposta arriva insospettabilmente da un problema di aritmetica che i bambini delle elementari dovevano svolgere. Ricordate le mele o le torte? Ecco, qui erano sostituite dai disabili. «Un pazzo costa allo Stato 4 marchi al giorno, uno storpio 3,5 e un criminale 3. Se in Germania i disabili ricoverati sono circa 300mila, quanto spende lo Stato ogni anno per questi individui a un costo di 4 marchi?». Non ci sono parole, è impensabile, inaudito: un disabile costava la bellezza di 1460 marchi all’anno. Per un totale complessivo di 438milioni: ma siamo fuori di testa? Ora capisco: tenerli in vita a questa costi era effettivamente improponibile e per giunta in guerra. E poi si sa, con i matti e gli storpi non si va da nessuna parte. Dovevano, forse, cominciare prima? Ma vuoi vedere che adesso hanno perso la guerra per merito dei miei predecessori?
Testo originale già pubblicato su ‘il Cittadino di Monza e Brianza’ nella mia rubrica