Ce ne sono 45 in tutta Italia più altri 21 in fase di progettazione. A gestirli è nella maggior parte dei casi la Caritas, con altre onlus e gli enti locali. La tessera punti viene data a chi ha i requisiti: si tiene conto del reddito Isee, dell'eventuale possesso di una casa e della presenza di disabili o anziani a carico. I costi sono coperti con l'8 per mille o donazioni di sponsor privati e il personale lavora a titolo volontario
Un pacco di pasta, pomodori, pane, acqua, biscotti, latte. Totale alla cassa: nulla. Da qualche anno, in tutta Italia, è possibile fare la spesa gratis in alcuni supermercati speciali: si chiamano “empori solidali” e danno la possibilità a famiglie in difficoltà e persone disagiate di avere sulla propria tavola almeno gli alimenti di prima necessità. Un concetto diverso dal semplice pacco di viveri che parrocchie e associazioni distribuiscono ai senzatetto. “Qui parliamo di una spesa vera”, spiegano i beneficiari. Italiani o stranieri, famiglie o singoli: persone affamate dalla crisi che non chiederebbero mai l’elemosina, ma non riescono più ad arrivare alla fine del mese. I nuovi poveri. Per cui è nata una nuova soluzione. “Meno mortificante e più efficace”, spiega Cinzia Negli, capo dell’ufficio promozione umana della Caritas, in prima linea nella filiera dei market solidali. “In questa maniera nessuno si vergogna di ricevere l’aiuto di cui ha bisogno e che rappresenta solo un tassello di un percorso di reinserimento sociale”.
QUASI CINQUANTA EMPORI IN TUTTA ITALIA – Dalle prime aperture sono passati ormai diversi anni. Adesso quello degli empori solidali è un sistema strutturato in tutto il Paese: 45 punti attivi, con prevalenza al centro e al nord, e altri 21 in fase di progettazione. Dalla Caritas dipendono direttamente o indirettamente quasi tutti i centri presenti sul territorio, a cui però collaborano varie onlus e a volte gli enti locali. Realtà molto eterogenee tra loro: “I più grandi, come quelli di Roma,
TANTE FAMIGLIE NORMALI IN DIFFICOLTÀ – “Nel 2015 abbiamo assistito quasi 800 persone, distribuendo 219 tessere: 54 a nuclei familiari stranieri e 219 a italiani”, spiega Umberto Pastore, responsabile dell’emporio di Pescara, uno dei maggiori d’Italia, che ha da poco festeggiato cinque anni di attività. Fra loro anche S., una ragazza madre senza lavoro: “Frequento l’emporio da febbraio e mi sta dando un grande aiuto. Ci vengo un paio di volte al mese e faccio scorta dei beni primari che mi permettono di sfamare me e il mio bambino. È una spesa a tutti gli effetti – spiega –, non ci si deve accontentare di quello che si trova nel pacco e che a volte magari non è neanche utile”. La platea è molto variegata: si va dalla coppia di genitori anziani con figli tossicodipendenti a carico, all’immigrato da poco arrivato in città. Ma l’identikit del frequentatore dei market solidali è quello di famiglie normali, scivolate sotto la soglia della povertà a causa della crisi.
TESSERA PUNTI E TARIFFARIO – Gli empori solidali nascono per soddisfare i loro bisogni e prevedono un complesso meccanismo che va dall’individuazione delle persone in difficoltà alla raccolta dei beni. I centri di ascolto sul territorio si occupano di verificare i requisiti di assistenza e di valutare la gravità della situazione, attraverso l’analisi dell’Isee e la valutazione di vari fattori, come il reddito o la presenza di una casa di proprietà: caso per caso vengono caricati i punti su una tessera, che dà diritto all’acquisto di beni. “Si parte da un minimo di 35 punti per nucleo familiare, a cui si sommano 10 punti per ogni componente ed eventuali punti aggiuntivi per la presenza di disabili o genitori anziani a carico, ad esempio”, spiega Pastore. Con questa carta ci si reca negli empori e si fa la spesa in base al tariffario: un punto per un chilo di pasta, 0,8 per un litro di latte, 0,6 per lo scatolame, 1,2 per un pacco di biscotti. “La valutazione è studiata per garantire la disponibilità dei beni primari per tutto il mese. A volte abbiamo anche la carne, più raramente frutta e verdura perché quelli sono prodotti che è difficile procurarsi.”. La raccolta avviene con le comuni collette alimentari, ma anche facendo leva su una rete che coinvolge produttori, distributori e ristoratori, nel tentativo di rendere l’offerta il più possibile completa.
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