A seguito della diffusione dei Panama Papers che ha coinvolto numerosi volti noti in ogni parte del globo, è emerso che anche il padre dell’attuale premier britannico, Ian Cameron, morto nel 2010, costituì negli anni 80 un fondo offshore registrato alle Bahamas, il Blairmore Investment Trust.

Panama papers, proteste a Downign Street contro Cameron

A distanza di anni, proprio in quel fondo che, ironia della sorte, contiene il cognome di colui che avrebbe condiviso la stessa poltrona di suo figlio (Tony Blair), ci sarebbe finito anche il suo David. Sembra quasi una trappola ad hoc. Eppure lo stesso Cameron ha ammesso di aver acquistato delle quote per poi rivenderle prima di diventare premier per un valore di circa 30mila sterline.

Lo stesso che ha imposto a tutti i candidati del partito conservatore in vista delle elezioni generali del 2010 di rivelare i dettagli privati della propria situazione finanziaria con la promessa di contribuire al fisco britannico pienamente, senza sconto alcuno, nel corso della partecipazione in Parlamento.

Lo stesso che, come farebbe un leader di polso, ha condotto nel corso dei suoi mandati battaglie per sconfiggere l’evasione fiscale.

Lo stesso che era pronto a tagliare il cordone ombelicale da mamma-Europa pur di frenare il flusso migratorio.

Lo stesso che per anni ha additato gli immigrati comunitari come il primo male da annientare, perché invece di contribuire al fisco come tutti, attaccavano il welfare intascandosi benefici fiscali, che in molti casi, fungevano da sostentamento da inviare alle proprie famiglie nel proprio Paese d’origine.

Lo stesso che poi, sbattendo un po’ i piedi, è riuscito a raggiungere un accordo con mamma-Europa: niente benefici fiscali agli immigrati fino a sette anni.

Ovazione. In Europa allora si deve restare, ora che ci possiamo essere senza starci pienamente avendo acquisito a discapito degli altri uno status speciale.

E proprio tra un giro di valzer e l’altro, si è scoperto che il primo evasore fiscale del Regno Unito potrebbe essere proprio lui, dimostrando che forse per uscirne pulito sarebbe bastato un solo mandato, perché il secondo è servito soltanto a vedere ritorcersi contro tutto quello che aveva iniziato a fare nel primo. Se vieni eletto, è quasi sempre così. Altrimenti, te ne basta anche mezzo.

Così se da un lato è stato additato dai suoi oppositori come un ipocrita, attaccato aspramente dai media britannici che come solito in queste occasioni non si risparmiano, e dall’opinione pubblica, con manifestanti davanti il n. 10 di Dowing Street pronti a chiederne le dimissioni, David Cameron, dal canto suo, ha detto di voler imparare la lezione, ha reso nota la sua situazione finanziaria degli ultimi sei anni per rispondere alle accuse, e ha chiesto scusa.

Le scuse di un ricco al potere, sebbene in atteggiamento dimesso, potrebbero sembrare lacrime di coccodrillo. Come chi, in effetti, fa un mea culpa soltanto adesso. Dunque risuona come una verità che abbiamo sempre saputo ma di cui oggi ne si ritrova conferma quanto detto dal leader laburista, Jeremy Corbyn: esiste una legge per i ricchi ed un’altra per tutti gli altri.

Ma questo non sarà un gioco del trova le differenze, però le porta alla luce. Perché mentre noi diamo lezioni di omertà, del non-so-niente, non-è-come-sembra, parleranno-i-miei-avvocati, non-è-colpa-mia, da altre parti si insegna che chi sbaglia deve rispondere delle proprie colpe, qualunque ruolo rivesta. Gli altri impartiscono lezioni di democraticità che a volte, per noi, risultano troppo scomode perché possano essere ascoltate. David Cameron coinvolto nello scandalo Panama Papers per delle quote vendute poco prima il suo mandato ed i media lo fanno quasi dimettere. Pensate se un criminale fosse stato ospitato sulla rete televisiva pubblica e lui avesse taciuto, se avesse spalleggiato una ministra coinvolta negli affari di suo padre indagato per bancarotta fraudolenta, se lo stesso scandalo Eni avesse colpito il suo governo.

Allora forse bisogna aggiungere un’altra verità alla lista, una di quelle che abbiamo sempre saputo ma di cui si cerca conferma ogni volta: se i media diventano lo specchio di una società, ciascuna avrà quelli che merita. 

di Antonia Di Lorenzo. Autrice del romanzo Quando torni? disponibile in Amazon, Itunes, Kobe, Scribd, Smashwords, Barnes&Noble, Lulu.com e su quest’ultimo anche in versione cartacea. Scrive di Londra anche qui, sul suo blog personale ed in inglese sulla rivista The IT Factor Magazine.

Community - Condividi gli articoli ed ottieni crediti
Articolo Precedente

Panama Papers, Cameron pubblica i suoi redditi. “Domani riferirà alla Camera dei Comuni”

next
Articolo Successivo

Cina, la morte per gioco

next